di
JEAN GIONO
A PIEDI NUDI, CON UN BASTONE PER NON FERIRE... VENITE A TOCCARE LA VOSTRA UMANITÀ
Ph Francesca Lucidi
CENNI BIOGRAFICI SULL’AUTORE
Jean Giono nasce il 30 marzo del 1895 a Manosque. Suo
padre è un calzolaio e sua madre una stiratrice. Autore dalle origini piemontesi
e dall’indole così libera da rendere la sua figura inclassifficabile. Si sa che
la libertà può generare paura e incomprensioni, specialmente in periodo storico
in cui le divisioni sono le spaccature profonde che fanno sopravvivere a stento
l’umanità; Giono ne pagherà le spese.
A causa della malattia del padre, Giono abbandona gli
studi e va a lavorare in banca. Riesce però a formarsi una solida conoscenza e
passione letteraria grazie alle autonome letture della Bibbia, di Omero, di
Kipling. La sua modesta famiglia non è affatto gretta e lo incoraggia nei suoi
incontri con i libri e la scrittura.
Partecipa direttamente alla Prima Guerra Mondiale,
come “soldato di seconda classe senza croce di guerra”. Resta ferito a Verdun,
dopo il concedo vede rafforzarsi i suoi ideali pacifisti.
Nel 1924 pubblica la raccolta di versi ACCOMPAGNATI
DAL FLAUTO; nel 1927 lavora alla stesura del primo romanzo: LA MENZOGNA DI ULISSE
(uscito solo nel 1930), una trasposizione dell’Odissea nel tempo presente.
Atmosfere mediterranee e pagane perdurano nella “Trilogia
di Pan”: COLLINA (1929), UNO DI BAUMUGNES (1929), REGAIN (1930). La Natura si
pone sempre più al centro degli scritti di Giono, con forza misteriosa e ambivalente.
I contadini provenzali diventano i portavoce di questo legame misterico, idilliaco,
anche tinto degli aspetti ostili di questa Natura potente e manifestata in
tutte le sue espressioni.
Grazie al successo di COLLINA, lo scrittore può
dedicarsi completamente alla letteratura. Nel 1931 esce IL GRANDE GREGGE, dove
viene rievocato il dramma della guerra in trincea. Poi, la Natura fa il suo
ritorno con una voce che ha i toni della predicazione: sono da ricordare IL
CANTO DEL MONDO (1934) e CHE LA MIA GIOIA RESTI (1935). Personaggi inviolati
come i paesaggi che abitano, strettamente a contatto con le realtà della vita:
tristezza e gioia si mostrano senza veli.
Giono è un solitario e al contempo è profondamente
interessato all’umanità nei suoi aspetti più autentici, appunto “inviolati”, forti
e, a volte, contradditori. La sua osservazione si nutre delle conversazioni che
intreccia con i contadini provenzali incontrati durante lunghe passeggiate: così
nascerà anche L’UOMO CHE PIANTAVA GLI ALBERI. Una fattoria di Contadour diventa
luogo di incontro tra Giono e un nugolo di ascoltatori. “Vere ricchezze” e pace
tra gli argomenti delle aperte disquisizioni.
Lo scrittore propone i suoi ideali in numerosi saggi,
tra cui PRESENTAZIONE DI PAN (1930) e LETTERA AI CONTADINI SULLA POVERTÀ E
SULLA PACE (1938). Nel 1939 viene incarcerato con l’accusa di propaganda
antimilitarista. In molti iniziano a posare l’occhio del sospetto sul libero e
indipendente Giono. Lui, che aveva dato rifugio a due cugini comunisti, si
guadagna anche le accuse degli stessi comunisti francesi. Lui, che aveva dato rifugio
a due ebrei e un ricercato della Gestapo, viene accusato di collaborazionismo
con i nazisti nel 1944: una nuova prigionia, e un divieto a pubblicare.
Dall’isolamento continua a nutrire il suo spirito:
nasce così il ciclo di cronache con al centro la leggendaria figura del nonno
dello scrittore, Pietro Antonio Giono, colonnello degli ussari… generoso e
appassionato “eroe” del risorgimento. Nascono così MORTE DI UN PERSONAGGIO (1949),
l’USSARO SUL TETTO (1951), LA PAZZA GIOIA (1957), ANGELO (1958): commistioni di
generi dalla storia d’amore fino all’avventuroso, passando per il racconto
picaresco.
Giono si spegne il 9 ottobre del 1970, nella casa di Manosque
in cui ha sempre vissuto con la moglie e le due figlie.
L’UOMO
CHE PIANTAVA GLI ALBERI
“NON BISOGNA DISDEGNARE NULLA. LA FELICITÀ È UNA RICERCA. OCCORRE IMPEGNARVI L’ESPERIENZA E LA PROPRIA IMMAGINAZIONE.”
(da Viaggio in Italia di Jean Giono, 1953)
“La
loro condizione era senza speranza. Non avevano altro da fare che attendere la
morte: situazione che non predispone alla virtù.”
Edito da Salani editore nel 2016, con nota sull’autore
di Leopoldo Carra e le straordinarie illustrazioni di Peppo Bianchesi, un libro
che nella sua brevità incarna il succo dell’impegno nella semplicità e nella
fecondità, il senso dell’essere un “atleta di Dio”.
Giono amava la calligrafia: proprio un tratto, un
segno nero scaturisce da una penna per farsi figure e significati. Le
illustrazioni mescolano le forme della vita con le parole francesi di Giono,
che si fanno vento ed erba. Il testo non può prescindere dalla parte visuale
del libro, e viceversa. La comunione di queste due forme espressive si fa
bandiera di comunità, di collaborazione silenziosa con i sensi profondi della
vita. Questo è Giono: lavoro costante senza fatica, schiena piegata senza
dolore, serenità e socialità nella solitudine che opera senza conoscere cosa
sia l’egoismo.
Ph Francesca Lucidi
lo scrittore bambino camminava con il padre portando
ghiande in tasca per piantarle. Dall’esperienza, dai ricordi e dal fervore di
chi vuole promuovere un messaggio rivoluzionario parte la storia di pace che
riesce anche a spezzare la scia distruttiva dell’umanità, della guerra, della
lotta gli uni contro gli altri sponsorizzata dal progresso e dal capitalismo.
L’ordine naturale riesce a parlare attraverso le poche
parole scelte di Giono. Sottomettendoci alla Natura, uscendo senza scarpe dal
folle antropocentrismo possiamo scoprire una forza generatrice non rinchiusa
su sé stessa. Possiamo essere seme, possiamo essere ventre, possiamo essere
padri e madri del mondo non solo per capacità biologica ma per volontà dell’animo
e libertà del cuore e della mente.
Non ci troviamo dinanzi a un semplicistico idillio
bucolico, l’uomo si distacca da un’esistenza vissuta in funzione di sé stessi:
la felicità non viene più cercata perché ne diventiamo noi stessi il germoglio.
Come? Attraverso la soluzione più semplice ed ardua al contempo: le azioni.
L’eroe di questa storia sembra incrollabile, sopravvive
a due guerre, sopravvive alla morte della speranza. Chi è? Una sagoma nera che
appare durante una passeggiata dello scrittore in territori aridi, su in una altitudine
che riflette un cielo spietato e un vento violento, che paiono essere a loro
volta il prodotto di mondo umano sottostante perso nel suo sanguinoso dividersi
e guerreggiare. La sagoma nera è un pastore, un uomo dalla casa ordinata, che
mangia minestre profumate e si presenta ben sbarbato al cospetto della sua
solitudine. Il pastore passa la serata a dividere ghiande, le scruta, sempre il
silenzio. Lo scrittore è suo ospite e osserva. Il giorno dopo la morbosa curiosità
di Giono gli fa seguire l’uomo: un passo dopo l’altro, un bastone appuntito,
buche nel terreno e da un sacchetto umido le ghiande vanno a finire nella
terra. Ma di chi è quella terra? Forse tale imponente e instancabile lavoro è
per far fruttare una proprietà, per ricavarne un guadagno in denaro… no!
Proprio il discorso sulla proprietà si scioglie nell’azione perpetua di un uomo
che sfida il vuoto con il lavoro silenzioso. Il pastore si fa creatore. Le evocazioni
bibliche si liberano degli esclusivi connotati religiosi per diventare una
dimostrazione universale di quanto l’uomo possa avvicinarsi davvero a DIO, ma
questa volta non solo per la potenza distruttiva.
Una storia che tiene in parallelo un uomo solo, due
guerre e piccoli villaggi dove si muore presto perché si pensa solo all’ambizione
di stare da un’altra parte. Vite spezzate. L’uomo buca altrettanti appezzamenti
di terra ma non semina vita… sparge morte e sangue. I tratti neri delle
illustrazioni si animano di colore solo per enfatizzare la sostanza e il contrasto
tra le simbologie della vita e della morte.
Ph Francesca Lucidi
Pensate che un povero pastore solo possa sopravvivere?
E per giunta senza l’ufficializzazione e la certificazione di un ente, di un
potere. Forse qualcuno oltre lo scrittore aprirà gli occhi. Ma voi, cercate di
camminare a passo lento, riscoprite il gesto, perdete l’uso della vana parola.
Giono riesce a far scorrere l’acqua nelle crepe, a tingere di verde il rosso
liquido della crudele ambizione umana. Ridimensionarsi per diventare assoluti,
spogliarsi dell’essere degli uomini per riscoprire davvero la missione che il
divino, o se preferite… la vita, ha dato alle nostre mani e ai nostri spiriti.
Una lettura schietta, una lettura non adatta a chi ricerca tante parole o
intrecci e orpelli. Giono è la ghianda da cui può iniziare a fiorire la varietà
più grande della pace espressa nella comune presa di responsabilità del mondo
intero… ma partendo sempre da un piccolo sguardo attento, da una mano che
leggera si posa su ogni cosa.
“CHI
AVREBBE POTUTO IMMAGINARE, NEI VILLAGGI E NELLE AMMINISTRAZIONI, UNA TALE
OSTINAZIONE NELLA PIÙ MAGNIFICA GENEROSITÀ?”