sabato 11 luglio 2020

UNA BELLISSIMA STORIA DI LUIS SEPÚLVEDA SULL'AMICIZIA, IL CORAGGIO E IL RISPETTO DELLA NATURA

STORIA DI UN CANE CHE INSEGNÒ A UN BAMBINO LA FEDELTÀ

Ph. Francesca Lucidi. Libro in versione Ebook. Ugo Guanda Editore 2015.

LA VITA DI LUIS SEPÚLVEDA

Luis Sepúlveda nasce ad Ovalle, in Cile, il 4 ottobre del 1949. Già la sua venuta al mondo anticipa il peregrinare instancabile dello scrittore e la sua esistenza segnata dalle vicende politiche del Sud America.

Luis nasce in una camera d’albergo: i genitori sono ricercati per motivi politici, gli stessi che hanno costretto il nonno a fuggire dall’Andalusia. Il nonno era Gerardo Sepúlveda, detto Ricardo el Bianco, un anarchico.

Lo scrittore passa i primi anni della sua vita con il nonno a Valparaíso. In quel periodo un’altra figura importante è il prozio… ma ne parleremo tra un po', perché molto ha attinenza con il racconto in oggetto.

Nella sua infanzia impara l’amore per la narrazione; e anche per la lettura, prediligendo i romanzi di avventura.

Luis passa dalla lettura alla scrittura, e alla politica. All’età di quindici anni si iscrive al Partito Comunista.

A diciassette anni inizia l’impegno giornalistico presso il quotidiano Clarín, e lavora in radio.

Con il suo primo libro di racconti Crónicas de Pedro Nadie vince il Premio Casa de Las Americans e ottiene una borsa di Studio all’Università di Mosca. In realtà, Luis resta poco in Russia perché viene espulso per presunti contatti con dei dissidenti. Le voci sulle cause del suo allontanamento sono, però, molteplici.

Tornato in Cile, Luis viene espulso dal Partito Comunista. Il suo impegno politico e “rivoluzionario”, però, non si arresta: lo scrittore parte per la Bolivia e milita nell’Esercito di liberazione Nazionale, l’organizzazione di guerriglieri guidata da Ernesto Guevara, detto il Che, il quale era impegnato nella diffusione della rivoluzione popolare.

Luis torna poi in Cile e completa gli studi per diventare regista teatrale. Inizia a militare nel partito socialista e a sostenere con tutte le forze il presidente Salvador Allende, entrando anche nella sua guardia personale.

Purtroppo, il governo di Allende non dura… e l’11 settembre del 1973 i vertici militari prendono il potere e inizia così la dittatura guidata dal generale Pinochet. Allende resiste fino all’ultimo secondo, i militari irrompono nella residenza presidenziale dove i suoi fedelissimi sono costretti a consegnarsi… ma il Presidente non si arrende, non cede alle proposte di un presunto accordo e si spara con un Ak-47.

Luis Sepúlveda viene ARRESTATO e torturato; resta un carcere per mesi in una cella asfissiante. Lo scrittore ottiene la scarcerazione grazie all’intervento di AMNESTY INTERNATIONAL

Riprende il suo impegno nel teatro dai contenuti politici, per questo motivo viene di nuovo arrestato e viene condannato all’ergastolo. Amnesty International interviene ancora e la pena è commutata in un esilio di otto anni. La Svezia gli offre asilo politico e una cattedra universitaria… ma Luis scappa durante il viaggio, intenzionato a raggiungere il Paraguay. Riesce a raggiungere l’Uruguay; a causa di problemi politici deve, però, scappare.

Arrivato in Ecuador riprende la sua attività teatrale. Si impegna, poi, anche in un progetto dell’UNESCO rivolto allo studio delle civiltà indigene e sull’impatto da queste subito dalla “civilizzazione”.

Nel 1978, si reca in Nicaragua. Nel paese è in atto la Rivoluzione… dopo la vittoria dei rivoluzionari, Sepúlveda inizia girare l’Europa.

All’inizio degli anni ottanta inizia l’impegno dello scrittore in GREENPEACE. In seguito, si sposta in Spagna per poi tornare in Cile.

Nel febbraio del 2020, lo scrittore è in Portogallo per il festival letterario Correntes d’Escritas; purtroppo Luis e sua moglie contraggono il Coronavirus, che sta iniziando a diffondersi in tutto il mondo. Dopo un lungo coma si spegne nell’Ospedale Universitario delle Asturie, ad Oviedo, il 16 aprile.

Noto alle masse per il suo Storia di una gabbianella e del gatto le insegnò a volare, Luis Sepúlveda lascia una immensa eredità letteraria ed emozionale.

 

STORIA DI UN CANE CHE INSEGNÒ A UN BAMBINO LA FEDELTÀ

Introduzione alla storia

Storia di un cane che insegnò a un bambino la fedeltà è un libro del 2015; il titolo originale è Historia de un perro llamado Leal.

La storia ha una brevità che contrasta… anzi esalta il suo contenuto ENORME. Questo racconto è un ESEMPIO, è la descrizione dei lati più oscuri e distruttivi dell’umanità ma anche delle bellezze del mondo, e dei sentimenti puri e in linea con le leggi della Natura. Ci sono due tipi di umanità che vengono mostrati al lettore: l’uomo moderno spietato, infelice e irrazionale; e l’uomo pacifico, silenzioso e segnato dall’onore e dal coraggio, un uomo che conosce la Natura e vive in essa con rispetto e consapevolezza.

Il narratore è un cane, un pastore tedesco. La scelta della razza è assolutamente in linea con la messa a nudo dell’umanità negativa, quella legata al valore delle cose, che non è un reale “valore”.

Il cane sta cercando un fuggitivo e lo fa per degli uomini. L’oggetto delle ricerche è un Indio ed è assolutamente importante acciuffarlo. Non possiamo pensare che il cane sia cattivo e quindi siamo invitati a pensare che i motivi della ricerca siano seri, e quasi tifiamo per la cattura.

L’autore ci narra la storia attraverso lo scorrere dei pensieri dell’animale: il cane ci racconta cosa accade e il tutto viene intervallato dai dialoghi brevi e rabbiosi degli uomini. Sì, iniziamo ben presto a capire di che natura sono fatti quegli individui che arrancano tra erba, alberi, pioggia e disagi. Questi personaggi sono aggressivi ma totalmente impauriti. Il cane avverte l’odore di quel “branco”, che sa di paura. Il fetore della paura degli uomini è forte ma non attenua i sentori che provengono dal fuggiasco… quelli, però, sanno di farina, miele e di tutto ciò che il cane ha perduto.

Possiamo subito intuire che il cane non ha sempre vissuto tra quegli uomini come uno strumento senza vita da maltrattare.

Il fuggiasco riesce a muoversi velocemente e gli uomini sono costretti a fermarsi più volte: loro non conoscono lemu, il bosco, e accendono fuochi soffocati e circondati dal fumo. Se non si conosce il bosco non si sa quali sono i suoi doni: si sceglie la legna sbagliata e lemu non offre i suoi servigi se non è trattato con rispetto e sapienza. Tutti gli uomini sembrano trascinarsi senza capire nulla di ciò che intorno a loro parla e vibra. Le parole degli animali vengono udite solo dal cane, che riesce a distinguere il gracidio della rana, il canto sommesso del gufo, le ali del pipistrello che si nutre. Tutto è in perfetta armonia, tranne gli uomini. Il branco di cacciatori è a disagio. Gli uomini litigano costantemente tra loro… e il capo svetta per freddezza e crudeltà. Egli non è malvagio solo con il povero cane ma anche con i suoi simili: se uno del branco prova a nutrire l’animale il capo prende a calci il pezzo di pane e protesta… un cane deve essere affamato per cercare bene; se così egli crede non potrebbe essere diverso se ad aver fame fosse un suo simile che non ha adempiuto ai suoi presunti doveri.

Il cane in sogno vede, come accade per tutti gli esseri che riescono a “vedere” realmente: il pastore tedesco è uno sciamano, non per investitura ma grazie agli insegnamenti quotidiani che ha avuto dalla Gente della Terra.

Cane, perché così l’animale viene chiamato dagli uomini, in sogno rivive il giorno in cui cadde nella neve. Tra le alte montagne una carovana si spostava tra gli aromi di mate, carne secca e farine. Una borsa conteneva Cane, che però cadde, e nessuno se ne accorse. Abbandonato e acciecato dalla corsa per raggiungere i cavalli che poco prima trasportavano lui, uomini e merci rimase solo, ma ecco che una tiepida lingua giunse a rassicurare il cucciolo. Un salvatore grande e fiero prese con sé Cane. La nuova casa che trovò ad accoglierli era una caverna. Ma un pichitrewa, un cucciolo di cane, non poteva restare con quella creatura. In pochi giorni Cane venne nutrito, e iniziò ad imparare la forza delle sue zampe… ma non poteva restare: il suo compagno aveva già in mente un piano.

Dopo questa visione onirica giunge il mattino: a Cane viene ancora negato un pasto dal capobranco, che si scaglia contro un suo simile il quale, spinto dalla compassione, lancia un pezzo di pane all’animale.

Cane è affamato e stanco… ma non è arrabbiato: è lucido e intenzionato a portare avanti la sua missione. Gli uomini, invece, sono completamente furiosi e confusi dal disagio provato nello stare nella foresta, e dalla stanchezza. Cosa fanno gli uomini quando sono arrabbiati e in difficoltà? Si scagliano l’un l’altro… questa gente che proviene dalla civiltà è molto diversa dalla Gente della Terra.

Il fuggiasco ha lasciato tracce di sangue… il cane avverte ogni suo segno. Ma l’animale ha un piano, come il suo salvatore, tanto tempo fa. Il pastore tedesco fa il suo lavoro e fiuta e sa benissimo dove si sta dirigendo il fuggitivo. Gli uomini pensano che la cattura sia vicina e seguono ogni segnale lanciato dal loro schiavo a quattro zampe. Ma Cane ha un piano e gli uomini non giungono a nulla se non a luoghi scomodi che loro sono incapaci di sopportare… il branco corre, anzi arranca. Cane si distanzia da loro e si ferma a gustare l’acqua fresca tra le pietre del fiume; i morsi della fame sono sempre più forti e l’animale cattura un topo di montagna, un tunduku. Cane uccide in modo molto diverso dagli uomini e dalle loro armi per ammazzare. Il pastore tedesco non appartiene al mondo civilizzato: lui appartiene alla Gente della Terra. Cane sgozza il topolino… e poi gli chiede PERDONO: dalla Gente della Terra ha imparato che l’uomo, il che, deve chiedere perdono all’albero che abbatte, alla pecora che tosa. L’animale ha imparato che ci si ciba per quel che basta, e agli altri fratelli viventi si lascia il resto, come in un grande banchetto dove tutti si è alla pari senza affamare, odiare, umiliare.

Ecco che il tuono, un altro fratello, arriva a sconquassare l’aria e a portare il temporale. Cane riesce a trovare un riparo, mentre gli uomini restano a urlarsi contro tra i canneti e la fanghiglia. Il sogno ritorna a portare visioni all’animale/sciamano addormentato. Nello spazio del sogno, una storia racconta di un giaguaro, un nawel, che un giorno portò qualcosa tra le ruka, le case della Gente della Terra. Ogni porta di quelle abitazioni è puntata ad est, dove il sole sorge… ma in quella mattina fredda un altro dono della Natura arrivò su quelle soglie.

Wenchulaf, che significa uomo felice, trovò qualcosa e lo portò dentro alla ruka. Dentro quelle abitazioni si svolgeva l’ayekantun, l’appuntamento quotidiano in cui si narravano storie… e Wenchulaf era la voce di quella sapienza tramandata tra le generazioni. Il cielo aveva portato un dono e la Gente della Terra sa che si accettano e amano tutti i doni che il cielo manda.

Cane riesce a sentire le braccia di Wenchulaf, mentre sogna.

Nei ricordi vivi di Cane vi è un altro nome: Aukaman, cioè condor libero. Un sogno può avere profumi, e quegli odori piacevoli sono fatti di farina e di latte e di miele… come quelli del fuggiasco. Mentre imperversa il temporale, il sogno di Cane gli ricorda il suo VERO NOME: AUFMAN, che nella lingua della Gente della Terra significa leale, fedele.

“Questo cucciolo ha dimostrato lealtà a monwen, la vita, non ha ceduto al comodo invito di lakonn, la morte, perciò si chiamerà Aufman, che nella nostra lingua significa leale e fedele.”

Ciò che lo Spirito della Terra porta è per il nostro bene; la gratitudine è il nostro dovere verso di esso. Cane lo sa bene ed è grato della sua missione.

Il mattino arriva e solo le frustate attendono il pastore tedesco; è proprio la sua razza a far diventare Cane una proprietà degli Uomini della “Civiltà”. Un giorno era diventato il cane del capobranco… per un merito che Cane aveva guadagnato più per istinto che per intento: il pastore tedesco non avrebbe mai voluto vivere in una gabbia o ricevere ordini dal capobranco. Questo accadde, e tante cose Cane perdette.

Un giorno, però, il suo ruolo di cacciatore per il capobranco aveva assunto tutta un’altra importanza: odio, un abbaio e uno sparo… e da lì Aufman era tornato a essere se stesso, fingendo, però, di essere Cane.

Il fuggiasco verrà trovato? E qual è il piano di Aufman? Chissà se le cose che ha perduto possono essere ritrovate…

In questa storia molti Giusti vengono oppressi; qualcuno perde la vita… e la Natura ascolta e vede e osserva. Dimenticare lo Spirito della Terra priva gli uomini della VERA vita. Morire è un ricongiungimento, la brama di afferrare e rubare altre vite, invece, è un tipo di "morte" che non avrà mai consolazione e pace.

 

PERCHÉ SEPÚLVEDA HA SCELTO DI SCRIVERE QUESTA STORIA

Lo scrittore sente di avere un debito: la sua vocazione di scrittore la deve ai suoi nonni, che come tutti i nonni raccontavano tante storie; e soprattutto al suo prozio Ignacio Kallfukurá, un mapuche, un appartenente alla Gente della Terra. Luis ascoltava le storie, che il prozio narrava nella lingua dei mapuche, non capiva molto ma riusciva a comprendere tutto… perché dopotutto anche Luis era un mapuche.

Nell’introduzione, lo scrittore ci racconta di tutto questo passando anche per il ricordo del succo delle mele appena raccolte. Lui avrebbe voluto poter raccontare storie ai bambini mapuche, alla fine sceglie di portare tutti bambini del mondo davanti a quei falò nella Wallmapu, il paese della Gente della Terra.

Intraprendere questo viaggio significa stare in silenzio, come quando si ascolta qualunque storia. Le voci più importanti non sono quelle altisonanti della “civiltà” ma quelle della vita come si manifesta attraverso lo Spirito della Terra che tutto permea. Ogni cosa ha una vita. Sedersi intorno a questo immaginario falò implica la crescita interiore attraverso il rispetto, la sapienza di ciò da cui ogni cosa nasce… è una lezione che non passa per grandi calcoli, no. La Natura aspetta come anche il vero e puro Amore, e l’amicizia.

Credo che questa piccola storia abbia una grandezza che a stento si può contenere in una sola lettura di qualche ora. Sepúlveda è un cammino di vita. Lui voleva rivoluzionare il mondo: ha combattuto, ha sofferto il carcere e la repressione… alla fine la sua GRANDE RIVOLUZIONE è riuscito a farla. Volete rivoluzionare il mondo? A volte basta solo saper ascoltare.

 

Io ho preso questo libro in formato ebook e cartaceo (che è in arrivo). Consiglio tutte le versioni che potete preferire. Se volete acquistarlo vi inserisco il link diretto di Amazon: se acquisterete tramite il link potrete aiutare il Penny Blood Blog che riceverà piccolissimi compensi virtuali che verranno reinvestiti in altri meravigliosi libri, su cui discorrere insieme! Trovate il link alla pagina Amazon del libro sul lato destro del blog, insieme ad altri fratellini.

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Buona lettura!




mercoledì 8 luglio 2020

FRIDA KAHLO RACCONTATA ATTRAVERSO UNO STRAORDINARIO ALBO ILLUSTRATO

FRIDA KAHLO. UNA BIOGRAFIA
di
MARÍA HESSE

Frida Kahlo. Una biografia, edizioni Solferino. Ph. Francesca Lucidi 

MARÍA HESSE

María è nata in Spagna nel 1982; ha una personalità rivoluzionaria, libera e desiderosa di comunicare importanti messaggi sociali ed emozionali. “Hesse” non è il suo vero cognome: è stata una scelta autonoma dettata da un profondo legame con Hermann Hesse. María è esattamente così: entra in un legame profondo con realtà e carni e le assorbe per poi cesellarle con gli splendenti materiali del suo talento e del suo animo.  Le connessioni che lei ricerca sinceramente, e perpetra, diventano un generoso regalo da fare a tutti.

María inizia a esprimersi con i colori fin da piccola. Una volta cresciuta pensa che l’Accademia delle Belle Arti sia la strada più sensata… in realtà non riesce ad essere ammessa. María, allora, si forma nel campo dell’istruzione infantile e diventa maestra.

Qualcosa manca.

Non riesce ad abbandonare il suo sogno, o destino. María inizia la carriera da illustratrice professionista. Il suo primo grande successo è “FRIDA KAHLO. Una biografia”, edito da Lumen.

Il libro viene tradotto in quattordici lingue; María vince in Brasile il National Children's and Youth Book Foundation Award.

María crea anche a un’altra biografia, dedicata a David Bowie. Questo lavoro è stato realizzato in collaborazione con Fran Ruiz, grande fan di Bowie. Frida, invece, è una creatura interamente curata dalla Hesse. Due icone ormai impresse ossessivamente quasi su ogni oggetto di uso quotidiano; due personaggi eccentrici e dolorosi… due personalità che hanno mescolato realtà e finzione da un’argilla originaria assolutamente inaccessibile all’uomo comune. María, infatti, riflette sulle volte in cui Frida parlò di molti eventi mutandoli; María sceglie di partire da pochi fatti certi per creare un documento che è innanzitutto un monumento alla VITA e alla COLORATA voce delle emozioni: anche il dolore ha i suoi colori, e grazie a María e a Frida possiamo affrontare un esercizio delle emozioni che non punta sul nozionismo ma sull’ESPRESSIONE.

María è presente sui social e ha un sito ufficiale adorabile. All’interno potrete trovare anche uno shop fin troppo accattivante.

Le biografie su Frida Kahlo e David Bowie sono uscite in Italia nell’ottobre del 2018, edite da Solferino.

 

FRIDA KAHLO. Una biografia

Questo libro è un albo illustrato, colorato, irriverente e rispettoso allo stesso tempo. La Hesse ci accoglie con il suo “manifesto” programmatico che invoca la volontà di ritrarre Frida Kahlo tra i poli della realtà e della finzione. L’illustratrice si prende la responsabilità del lavoro di scrittrice partendo dalla sua conoscenza di Frida… mondandola dalle pretese di eccessiva adesione alla realtà (una realtà altresì sfuggente), e si prefigge l’obiettivo di raccontare la straordinaria vita della pittrice cercando di esserne la portavoce; attraverso una mimesi profonda, sincera e rispettosa.

L’aspetto delle illustrazioni è giocoso, allegro e infantile. Tutto appare come un diario in forma di immagini, partendo da come Frida stessa ha raccontato la sua vita: con colori, contorni e trasfigurazioni.

Ph. Francesca Lucidi
Se si vuole leggere un saggio questo albo non è la scelta giusta, ovviamente. L’intento è la CONNESSIONE; non una conoscenza nozionistica ma emozionale. Tutti i punti salienti della vita di Frida sono riportati in un’apertura a inizio libro che ne sintetizza i passaggi fondamentali. Da lì, anche i profani possono partire con una panoramica generale chiara, semplice ed esaustiva.

Dopo, la narrazione inizia a dipendere dalle immagini in una maniera dolce e trasognata.  Frida non ci appare con la sua immagine iconica ma con linee che la ritraggono come un essere fatato, da amare immediatamente.

Tutto l’aspetto dell’albo ricorda un libro di fiabe. I dipinti di Frida vengono inseriti nella narrazione attraverso l’interpretazione dell’illustratrice, che intervalla il tutto con elementi nuovi che richiamano ogni singolo aspetto dell’esistenza, del gusto e della quotidianità della Kahlo.

Possiamo conoscere la Frida bambina che interagisce con le sorelle, e con l’amica immaginaria con la quale raggiungeva perfino il centro dalla terra. Quell’amica non ha volto ma i suoi movimenti, perfettamente orchestrati dai tratti della Hesse, sono ciò che più identifica il significato della sua presenza.

Sfogliando le pagine sembra di entrare a casa della famiglia Kahlo; ci pare di avvertire una inaspettata intimità con quella quotidianità qui riportata solo con pochi aneddoti. Si può riscontrare la gestualità forte e caratteristica di Frida, si può scorgere l’animo fermo ed elegante del papà… si può contemplare la gamba malata della pittrice che riesce ad essere un legno fermo ma allo stesso tempo un germoglio che non smette di voler vivere a tutti i costi.

Frida nasce con una malattia che viene nascosta a tutti per vergogna. La stessa vergogna fa sì che lo spirito rivoluzionario di Frida non venga compreso dagli altri. Il papà è una figura forte e amorevole… Frida non è una bambina come le altre: è debole e non si muove bene… quindi vi aspettereste che il Signor Kalho la iscrivesse a un corso di lotta libera? Tutto, qui, è stupore. Frida è un monumento sofferente al coraggio e alle risorse interiori urlanti.

Le pagine dell’albo sembrano tramutarsi in un quaderno assemblato tra fogli sparsi, schizzi e pensieri appassionati… come quello che Frida portava con sé il giorno del terribile incidente.

Nel 1925 l’autobus su cui è salita Frida si scontra con un tram; Frida non sarebbe neanche dovuta essere su quella prigione di metallo. L’impatto è lento e terribile. Frida viene trapassata da un corrimano che vìola la pura “femminilità” della giovane.

Nessuno crede nella sopravvivenza di Frida che, invece, ce la fa.

La convalescenza nel letto della sua casa è circondata dalle premure dei suoi genitori: la mamma e il papà ornano il suo giaciglio con un baldacchino e le regalano il necessario per dipingere, e uno specchio. Da quel momento inizia il viaggio di Frida nella pittura e nei significati profondi dell’esistenza, in primis della sua.

Lei inizia a dipingere ciò che è, ormai, il suo mondo: se stessa. Lei si guarda, si conosce e si reinterpreta… dandosi una forma che travalica le ferite fisiche per sublimare la sofferenza nell’espressione artistica del suo corpo, con le sue storie.

Prima dell’incidente Frida aveva un amore… aveva la passione per le bici prese a noleggio e non restituite a tempo debito. Nella borsa portava bambole, quaderni autoprodotti e tanti libri. La giovane era curiosa e vivace: una delle trentacinque donne ammesse alla Scuola nazionale preparatoria. Proprio durante i suoi studi, Frida conosce il “fattore x” del suo secondo incidente (così lei lo indentifica); la pittrice incontra Diego Rivera. L’impatto con Diego cambierà tutto… come quello che ha fatto scontrare l’autobus e il tram.

Ciò che colpisce è che la Frida prima della tragedia del 1925, che ho appena descritto, svanisce. Dal trapasso del povero e puro grembo della giovane nasce una persona nuova, risvegliata nel dolore.

Già da prima Frida si scopre più interessata alle persone che alle “nozioni” (come lo stesso albo che racconta la sua vita). La tragedia fa nascere delle consapevolezze dure da comprendere per chi non ha vissuto un dramma esistenziale e una lacerazione del corpo. Frida dice:

Perché studi tanto? Quale segreto cerchi di scoprire? La vita te lo rivelerà presto. Io so già tutto, senza bisogno di leggere o scrivere.

[…]

Ora vivo in un pianeta di dolore, trasparente come il ghiaccio, ma che non nasconde nulla, come se io avessi capito tutto nel giro di qualche secondo. Le mie amiche, le mie compagne sono diventate donne lentamente. Io sono invecchiata in pochi istanti e oggi tutto è bianco e limpido.

Ecco, soffermandosi sulla citazione, interamente riportata nell’albo, dobbiamo fermaci e restare in silenzio.

Dopo il silenzio inizia la seconda vita di Frida: il matrimonio con l’affermato artista Diego Rivera; gli scontri e l’amicizia con la prima moglie di lui; i tradimenti e la sofferenza pacata di Frida che cerca in tutti i modi di essere una amorevole moglie perfetta. Poi gli aborti e il senso di incompletezza. La lotta estenuante con una vita che sembra non volerla lasciare in pace. I dipinti vengono prima messi da parte e poi ripresi nella plasmazione cosciente del dolore che affligge la loro creatrice.

Da moglie perfetta Frida diventa una donna ferita nella fiducia e nel cuore; però, l’artista inizia a far vedere nel mondo la sua figura sofferente e immensa. La rottura con Diego, i numerosi rapporti sentimentali con uomini e donne. Non vorrei svelarvi i nomi di questi personaggi… assolutamente non anonimi. Vi cito solo il politico russo Lev Trockij.

Trockij e sua moglie vengono accolti e protetti, dopo la fuga dalla Russia, da Diego e da Frida che nel frattempo era tornata dal marito per recuperare il loro rapporto all’insegna dell’indipendenza.

Trockij e Frida iniziano una relazione clandestina… la moglie del politico scopre tutto e il rapporto viene troncato bruscamente. Forse anche Diego si accorge dell’accaduto, tanto che manda via i rifugiati accampando una banale scusa come l’affitto. Altri amori arrivano, con le loro magie e i loro distacchi.

I dipinti di Frida guadagnano sempre più attenzione, e la donna che dipendeva completamente dal marito inizia ad assaporare anche il piacere dell’autonomia economica.

Frida va a Parigi, dietro invito dei Surrealisti. Dopo mille peripezie, risolte da Marcel Duchamp, viene organizzata la mostra a cui Frida era stata invitata.

Lei è un animo libero e RIVOLUZIONARIO e ha difficoltà ad ambientarsi; in realtà, Frida inizia a disprezzare quegli artistoidi che si riempiono di parole… sono spocchiosi e odiosi. Purtroppo, durante il viaggio torna la malattia. A lasciare qualcosa di buono c’è però la nascita di alcune belle amicizie, come quella con Pablo Picasso.

Frida attira una grande attenzione su di sé.

Tornata in Messico, nella casa blu, il rapporto con Diego si consuma ancora tra le numerose amanti dell’uomo.

Frida si taglia per la seconda volta i capelli, per quella seconda rottura profonda.

La confusione fa avvicinare la donna a Ramón Marcader: una DISGRAZIA!

Marcader si macchia del brutale assassinio di Trockij; i sospetti ricadono su Frida che viene incarcerata per due giorni insieme alla sorella Cristina. Le donne vengono liberate… ma una delle due è ancora imprigionata nella malattia…

Diego, prende slancio dagli eventi terribili appena raccontati e chiede a Frida di sposarlo di nuovo. La donna tentenna per un po' per poi accettare di buon grado. Tutto sembra andare molto bene: il rapporto si lascia vivere nella semplicità dell’ambiente familiare e Frida si gode i nipoti e la profonda amicizia con Diego, cercando di non pensare troppo alle amanti che non smettono mai di infestare il matrimonio.

La pittrice si sente bene, si fa fotografare… inizia un diario e incomincia a insegnare alla Scuola di pittura e scultura del Ministero dell’Educazione, la cosiddetta “Esmeralda” (il nome trae origine dalla piccola via in cui sorge l’edificio).

 Frida e i suoi studenti passano il tempo sdraiati pancia a terra dando forme al mondo. Purtroppo, però, la salute della pittrice peggiora di nuovo. Costretta a stare a casa, continua a insegnare a un piccolo gruppo di fedelissimi: i “LOS FRIDOS”.

Arriva il busto di metallo e poi l’intervento chirurgico del 1946 che condanna Frida a indicibili patimenti, e alla dipendenza da medicinali. Un altro medico interviene nel 1950, il dottor Farill. Le nuove operazioni riescono a donare alla povera Frida una speranza di salvezza e un miglioramento dei dolori. Lei è così riconoscente al dottore che confeziona un “quadretto” apposta per lui.

La calma è solo apparente e l’isolamento e i tormenti di Frida tornano più forti di prima.

La pittrice smette di creare autoritratti e si dedica alle nature morte. Tra analgesici e alcool, in cui ormai si rifugia da diversi anni, ecco che tutto si alterna tra brevi sollievi e tenebra improvvisa.

Diego è sempre più distante e i due non vivono più insieme. L’uomo va a trovarla spesso… solo quello.

Il 1953 è l’anno di una bevuta di tequila diversa dalle altre: la fotografa Lola Álvarez organizza la prima personale di Frida in Messico. La pittrice non può alzarsi dal letto; il letto viene trasportato con il suo umano e bellissimo contenuto presso la mostra. Frida brinda con la tequila e canta…

La gamba destra viene amputata.

Diego non sopporta l’amputazione, piange e si dispera confusamente. Frida non smette di credere nella forza delle sue ali; anche se quelle della morte iniziano a far sentire il loro fruscio.

Il 6 luglio, Frida festeggia il suo compleanno con una forza vitale prorompente. Lei sa, per questo canta più forte e ride in modo memorabile.

Il 13 luglio il dottor Montoya si reca da Frida per un prelievo e la trova senza vita. Si parla di embolia polmonare o di dose eccessiva di analgesici.

La pittrice abbandona il suo dolore lasciando solo una BELLEZZA INESTINGUIBILE.

Tutto questo è raccontato in un modo che si può comprendere solo entrando a piedi scalzi nell’albo. L’unica cosa che forse necessitava di una piccola attenzione verso i lettori… è la forma. Le parti in corsivo riportano delle citazioni di Frida e questo forse era meglio specificarlo (non è scontato per tutti); sarebbe stato anche carino avere qualche riferimento in più sulle citazioni. Sono cose da poco, ma bisogna sempre pensare che nulla è scontato.

La fine del libro ci lascia un’altra panoramica, dopo quella iniziale sul riassunto della vita di Frida, e ci troviamo davanti a un catalogo di alcune opere della pittrice con titolo e data… ma nella trasfigurazione Hessiana.

Per SAPERE di Frida consiglio un altro tipo di libro; per CONOSCERE Frida, invece, questa è la scelta giusta!

Ph. Francesca Lucidi

 

 


lunedì 6 luglio 2020

UNA VERSIONE DARK DELL'ALICE DI LEWIS CARROLL

BUCANEVE NEL REGNO SOTTERRANEO

DI PAOLO FUMAGALLI
Img. Francesca Lucidi


INTRODUZIONE

Bucaneve nel Regno Sotterraneo è un libro di Paolo Fumagalli, pubblicato da Dark Zone Edizioni nell’aprile del 2018.

Bucaneve può considerarsi un racconto lungo: si svolge esclusivamente intorno a una misteriosa e oscura avventura vissuta dalla protagonista, a un solo nucleo narrativo.

Il tempo in cui si dipana la storia è indeterminato, e ciò contribuisce a contestualizzare il tutto in un ambiente fiabesco, dalle denotazioni mutate in senso schiettamente dark. L’autore accoglie il lettore con un’introduzione che comunica il punto di riferimento dell’intera narrazione: Alice nel Paese delle Meraviglie. Fumagalli è innanzitutto un fan, un amante appassionato delle “creature” di Lewis Carroll; e anche dell’immaginario dark contemporaneo firmato Tim Burton. Fumagalli riflette sulla versione di Alice proposta dal regista: il film non si presenta come una rilettura in chiave oscura della storia di Carroll, o del film Disney, ed è più un sequel autonomo che forse ha mancato le aspettative di Fumagalli.

L’autore di Bucaneve cerca di dare vita al suo desiderio creando una storia che possa partire da Alice per poi giungere in territori più spaventosi che “meravigliosi”; con un tocco, però, di ironia e assurdo… per non tradire gli spunti principali del modello originario.

Chi non ha letto Carroll può comunque godere del racconto di Fumagalli, cogliendone i tratti specifici che, a mio parere, sono i punti migliori del libro.

 

TRAMA

Bucaneve è una bimba costretta a letto da qualche tempo: è affetta da una misteriosa malattia che consuma energie e vitalità… e anche il colorito, che appare, ogni giorno, più evanescente e spettrale.

La piccola si consola grazie alle amorevoli letture della madre, che ogni sera la culla tra le storie di un libro ben preciso (evocato e non nominato). La stanza che racchiude questi momenti è sospesa tra il letto, i libri, uno specchio e la finestra.

Lo specchio sembra il triste monumento a una Bucaneve divenuta donna… che non sappiamo se potrà mai arrivare ad ammirare il suo riflesso. Il letto è protezione e prigione: Bucaneve cerca con tutte le forze di contrastare la sua debolezza e contempla l’orizzonte da una finestra le cui tende ogni sera vengono chiuse.

Una notte, però, quelle tende non vengono chiuse… Bucaneve si alza a fatica e inizia a contemplare i fantasmi dell’oscurità: immagini di alberi e contorni multiformi che diventano esseri fantastici.

Tra la finestra e lo specchio, a un certo punto, si crea una sorta di misteriosa connessione: piccoli riflessi (dati dalle stelle?) attirano la bimba presso la superficie riflettente. Rumori e inquietudini, strane luci e sentori senza nome. A un tratto lo spazio si dissolve per ricomporsi in qualcosa che Bucaneve non si sarebbe mai aspettato, e neanche il lettore.

La morte è la seconda protagonista del racconto: anche la piccola si interroga sulla relazione che intercorre tra la morte, il sonno e il sogno… e questi sono tre elementi che hanno grande considerazione, nel libro e nel “Regno”.

Bucaneve si trova a dover combattere per uscire da un luogo che riesce a identificare, più o meno, ma non riesce a capire come possa essere finita proprio lì. A quel punto, inizia il cammino della protagonista in luoghi tetri, neri e asfissianti. Tutto è confusione e stupore; tra animali parlanti e saccenti, tra foreste sconfinate e colori sempre vaghi nel loro cromatismo funereo.

Bucaneve è giunta, chissà perché, nel REGNO SOTTERRANEO. Lei si chiede cosa sia quello strano posto, e anche noi, leggendo, ci interroghiamo sulla natura del “trapasso” della bimba.

Tutto, lì, ha un significato, un aspetto e una velocità DIVERSI… rispetto al mondo “di sopra”.

La protagonista cerca di cogliere i sensi nascosti parlando con corvi, gatti che fingono di essere neri… e beh sì, anche cavalieri senza testa.

Come ogni regno ci sono un ordinamento, un ordine/disordine costituito, e dei governanti. Nel Regno Sotterraneo i cimiteri non sono un luogo silenzioso e le lapidi sono molto chiassose e chiacchierone; tutto ciò è ammesso ma GUAI a introdurre dei cani. I cani rosicchiano le ossa e di ossa è fatto qualcosa di veramente vitale per il Regno.

Bucaneve viene ben accolta da tutti, specialmente da due streghe mangiabambini, che le offrono una corroborante minestra rossastra. Con le streghe non si corre nessun pericolo: loro mangiano i bambini, ma solo quelli cattivi; e mai viene infranta questa regola.

Il percorso della protagonista trova una singolare evoluzione dall’incontro con il Becchino, e con il suo bizzarro caprone che un caprone non è. Proprio grazie a questo personaggio, Bucaneve verrà introdotta alla corte della Regina, la quale è una giocatrice accanita di PALLA MORTA. La partita, a cui tutto il Regno è invitato, sarà un’importante occasione di rivelazione: ciò non dall’evolversi della partita stessa ma dalle occasioni scaturite da una “palla” andata un po' troppo lontana, e da un tiro davvero pessimo.

Bucaneve chi troverà durante la sua ricerca?  E questo cosa comporterà nella narrazione?

Non è chiaro il perché la piccola si trovi lì e quale sia il senso di molte mutazioni che la piccola subisce durante la sua avventura. Le risposte non sono confortanti, o forse sì. Solo i cimiteri conoscono quelle risposte e ce le mostreranno.

 

ANALISI (E CONSIDERAZIONI)

La narrazione si divide tra il narratore onnipresente, e onnisciente, e i pensieri e i dialoghi che ruotano intorno a Bucaneve.

La passione di Fumagalli rende sovrapposti il narratore e l’autore; il tutto partendo da ciò di cui veniamo a conoscenza grazie all’introduzione. Il dichiarato materiale di partenza è riconoscibile, e crea l’ossatura generale della storia. Lo stile è razionale, pulito e ordinatissimo; ciò va a porsi dinanzi alla tempra dark e onirica dei contenuti. Significante e significato sono come un gatto nero che scrollandosi diventa bianco… anche se, forse, in questa questione di stile accade il contrario.

Il linguaggio del narratore è serio e al contempo appassionato; i modi di Bucaneve sono forse troppo simili a quelli del narratore… tanto che solo le indicazioni grafiche riescono a distinguere le due voci.

In questo caso credo che, probabilmente, la piccola sarebbe “emersa” in maniera più forte e peculiare con una costruzione del linguaggio connotata pensando a lei come ad altro rispetto a un autore adulto, razionale (anche se appassionato), e nel pieno delle forze. Non è il narratore che parla come il protagonista ma, qui, il protagonista parla e pensa in modo troppo simile al suo regista. 

Secondo me il racconto è adorabile e le ambientazioni sono fenomenali; è anche vero che, secondo me, è la veste editoriale a penalizzare il nobile intento iniziale. A mio parere, Bucaneve merita una Graphic Novel o per lo meno delle illustrazioni che possano accompagnare e colorare una storia che, in fin dei conti, è macabra e a volte anche molto triste. Questa scelta potrebbe aiutare anche nella maggiore centratura del target dichiarato (+7). La storia è per persone sensibili; ma questi animi inquieti e romantici, forse, verrebbero carezzati dalla narrazione per immagini che può alleggerire l’impatto e aiutare enormemente la figura della protagonista, e tutti i personaggi presentati.

I punti di maggior valore sono quelli che non hanno il marchio Carroll ma Fumagalli. L’incontro con le streghe è stato il momento di maggior piacere per la mia lettura. Le descrizioni, che sono il vero PUNTO FORTE di tutta la storia, sono adorabili; i personaggi hanno il loro spazio e lo occupano meravigliosamente.

Penso che le illustrazioni avrebbero permesso di affiancare e dare respiro a una narrazione che a volte vorremmo durasse un po' di più.

Alcuni hanno criticato il finale… io non vedo cosa possa esserci di assurdo in questa faccenda. Alla fine, si tratta di una fiaba macabra che si stiracchia e si lamenta in un sonno confuso… sicuramente quel finale chiamerebbe un seguito; e ciò renderebbe questo cerchio di parole e sale molto più purificante per gli amari avvenimenti.

L’autore deve credere nel suo solo immaginario, che ha le sue coerenze e le sue bellezze: non sarà Carroll ma alla fine ai curiosi interessa qualcosa di mai visto… a volte, almeno a me.

Io spero davvero che ci sarà una nuova edizione e una rivisitazione della storia; e che si possa pensare a un seguito.

Non vorrei Bucaneve morta (secondo voi lo è? LO SARÀ?).

Consiglio la lettura a chi vuole che le storie “diverse” abbiano voce. Probabilmente, pensandoci, non proporrei le complesse e multifocali macabre suggestioni della storia ai bambini di sette anni. Un giovane adulto dark, nerd, sensibile e curioso penso possa apprezzare questo libro a pieno.

Buona lettura!

  

mercoledì 1 luglio 2020

EDGAR ALLAN POE E L’ENIGMA POETICO: IL CORVO E IL SAGGIO DELL’AUTORE SULLA FILOSOFIA DELLA COMPOSIZIONE

LA RISOLUZIONE DEL “PROBLEMA” DELLA CREAZIONE POETICA
TRA UN CORVO E UN RAGIONAMENTO MATEMATICO

Ph. Francesca Lucidi
Le edizioni in foto vengono analizzate nell'ultimo paragrafo.

INTRODUZIONE

Pochi sanno che in un primo momento Edgar Allan Poe non firmò IL CORVO.

La poesia uscì nel 1845, in un numero di febbraio della American Review… ed era firmata “Quarles”.

Il poema richiamò su di sé molta attenzione, a ragione; ma per un po' di tempo l’autore rimase sconosciuto. Poe, in quel periodo, frequentava la società “letteraria” di New York: ogni settimana, intellettuali e scrittori si riunivano nell’elegante salotto di Miss Anna C. Linch. In un altro articolo, che vi linkerò alla fine di questo intervento, ho già parlato del grande fascino che Poe esercitava sulle persone, anche se sempre in un alone di incertezza e sconcerto.

Durante una riunione, fu chiesto allo scrittore di leggere proprio IL CORVO: Poe recitò la poesia con tale profondità e in estrema, evidente, unione con le parole… che tutto l’emozionato uditorio capì che il misterioso autore era Edgar Allan Poe. Da quel momento la fama dello scrittore crebbe ancor più; siamo, però, consapevoli di quanto la sua ascesa non fu mai continua e che le disgrazie non finirono mai di incontrare l’esistenza del Nostro.

La produzione poetica accompagnò lo scrittore per tutta la vita. Poe, infatti, iniziò a scrivere poesie all’età di quattordici anni. In vita pubblicò quattro raccolte: una, anonima, nel 1827; e le altre, rispettivamente, nel 1829, nel 1831 e nel 1845. Poe scelse di pubblicare le sue poesie principalmente sui periodici letterari: le sillogi poetiche, infatti, venivano pubblicate in volume quasi completamente a spese dell’autore; Poe non ha mai fatto mistero della sua volontà, e del bisogno, di guadagnare dai suoi lavori.

Lo scrittore aveva la tendenza a tornare molto di frequente sulle sue composizioni, e questo ci aiuterà a comprendere ancor meglio ciò che andremo ad affrontare in questo articolo. Nelle prime prove si evince l’eco eccessivo degli studi letterari di Poe; via via le liriche vengono “semplificate”. Il grido lascia spazio alla suggestione.

 

A METÀ STRADA TRA CLASSICISMO E ROMANTICISMO

L’essere poetico di Poe oscilla melodiosamente tra un malinconico e puntuale Neoclassicismo e un Romanticismo che scaturisce proprio dagli elementi classici. La purezza e l’armonia della forma vengono riprese per essere guardate con una certa malinconia: lo sguardo “romantico” accompagna le forme facendone scaturire un rimpianto, una riflessione verso un mondo profondamente cambiato: il Neoclassicismo viene preso e proposto, e messo dinanzi al lettore, come una PERDITA. Poe era ossessionato dalla cura della forma, dalla musicalità della parola e dall’uso cosciente delle figure retoriche.

Per comprendere i temi che qui si vanno a trattare… non bisogna mai dimenticare il rapporto stretto tra parole e musica, che in Poe fa da contraltare alla tragicità dei temi trattati.

Tra gli argomenti scelti vi sono, però, non solo echi romantici. In Poe è riscontrabile anche un forte Panismo: la natura è presentata come il luogo privilegiato di una comunione segreta tra l’uomo e le cose. Anzi, la natura è l’unica delicata consolazione che possiamo ritrovare tra le righe di Poe. L’ambiente si trasforma, nel tempo, da un luogo aperto a un ambiente più ristretto… dove il SIMBOLO riesce ad amplificare i suoi effetti: questo è il caso del CORVO.

Ora è arrivato il momento di appollaiarci su un bianco e forte busto di Pallade Atena, accanto a una creatura oscura… è il momento di inebriarci con la lotta invisibile tra classico e romantico, tra BIANCO e NERO.


IL SAGGIO LA FILOSOFIA DELLA COMPOSIZIONE

Se vogliamo comprendere meglio il lavoro compositivo di Poe, e soprattutto la genesi del CORVO, non dobbiamo fare altro che leggere le parole e le spiegazioni che ci lascia lo stesso autore. LA FILOSOFIA DELLA COMPOSIZIONE fu scritto in forma di conferenza e fu pubblicato per la prima volta sul «Graham’s Magazine», nel 1846. Obiettivamente, l’autore sfruttò anche la scia del successo del CORVO, per promuovere questo suo intervento. Il saggio è, appunto, un’analisi puntuale e precisissima del processo che ha portato alla nascita del famoso poema; in esso si affollano anche considerazioni più ampie sulla poesia, sullo stile e sull’onesta di molti autori. Sicuramente Poe è assolutamente onesto e trasparente: siamo abituati a pensarlo come un velato individuo indecifrabile… in realtà lo scrittore è molto umile e aperto allo svelamento dei “TRUCCHI TEATRALI” (così li chiama), che sono dietro alle sue opere. Poe non era solo un romantico individuo tormentato, ubriacone e drogato. No, Poe era un artista lucido, logico e assolutamente presente in ciò che faceva. Leggere questo saggio ci restituisce una figura più completa del NOSTRO. Per chi ha letto I DELITTI DELLA RUE MORGUE non può non scatenarsi un immediato déjà vu: anche se il racconto ha preso vita anni dopo il saggio quest’ultimo è meno noto… ed è quindi più probabile che chi sta leggendo queste parole abbia già affrontato IL DELITTI piuttosto che LA FILOSOFIA. Leggendo dei ragionamenti e dei processi mentali di Auguste Dupin, il protagonista intellettivo delle vicende della Rue Morgue, non si può non ritrovare l’impostazione mentale di Poe stesso. Leggendo il racconto possiamo aver pensato che fosse strano vedere tanto lavoro di “analisi” in un lavoro dello scrittore NERO (e sempre dalla pessima reputazione). No, Poe e Dupin si sovrappongono in un tipo di approccio al mondo fisico e creativo che innesta maglie ragionate su una catena che invischia i sensi per inebriarti; o nel caso di Dupin per farti “VEDERE”. La differenza con Dupin sta nel fatto che Poe non procede dalle condizioni generali per risalire ai particolari sfuggenti… lo scrittore determina tutti gli elementi singolarmente, volta per volta, ma attraverso una consequenzialità inversa, rispetto al canonico procedere che potremmo immaginare o che noi stessi perseguiamo.


LE PREMESSE

Il tono del saggio è assolutamente preciso e incisivo, il tutto è unito a una colloquialità che disvela le cose non come una confessione ma come un conversare sincero. All’inizio, Poe si riferisce a Charles Dickens e a una risposta che questi compie in relazione a un esame che Poe fece di Barnaby Rouge (o anche Il morto che cammina, di Dickens[1]).

Dickens propone un’analisi del Caleb Williams di William Godwin[2] (un’opera che pone le basi del moderno anarchismo), adducendo al fatto che Godwin avrebbe scritto la sua opera a ritroso. Poe dice di dubitare di questa eventualità ma non esita a confermare che questo tipo di processo ha innumerevoli vantaggi: ci spiega, infatti, che un intreccio degno di questo nome deve essere elaborato prendendo in considerazione il dénouement, l’epilogo… lo scioglimento dell’intreccio stesso; il tutto per connettersi al meglio con l’EFFETTO che si vuole ottenere.

Secondo Poe, quando si scrive si fa il comune errore di partire da una tesi o da un fatto del giorno, riempiendo gli spazi con descrizioni e dialoghi e cercando di connettere eventi e azioni. Poe dice chiaramente che il punto da cui egli parte è l’EFFETTO desiderato, cercando di ottenerlo con il massimo dell’originalità.

Lo scrittore osserva che sarebbe stato interessante se altri avessero avuto l’idea di scrivere qualcosa riguardo al loro processo di composizione… per Poe gli autori non lo fanno per pura VANITÀ.

Di solito gli scrittori sembrano, effettivamente, invocare su di essi una sorta di estatica intuizione… quasi divina, e magari su questo Poe è stato un po' duro probabilmente: magari la genesi sta tra il ragionamento e qualcosa di più impalpabile. Poe ammette che esistono delle suggestioni, ma che queste nascono più che altro dalla confusione… quasi dal caso. Il Nostro vuole invece far sbirciare dietro le quinte e mostrare come si scelgono e si usano “il belletto rosso e i nei”.

Le suggestioni di Poe non sono mai figlie del caso: vengono dalla precisione rigorosa e consequenziale tipica di un “PROBLEMA MATEMATICO” (lettori de I Delitti della Rue Morgue… percepite analogie?).

Per la sua disamina lo scrittore sceglie IL CORVO, perché è la poesia più conosciuta. L’interesse per l’analisi che va a compiere viene da lui discostato dall’interesse che meriterebbe l’oggetto esaminato. Poe è molto umile e onesto fin dalle prime battute… confessa anche che il suo intento è irrimediabilmente collegato alla volontà di SODDISFARE il gusto dei critici e del pubblico, anche se sorvola sulle motivazioni alla base di questo scopo.


ANATOMIA DEL CORVO

Edgar Allan Poe, nella sua Filosofia della composizione, scompone pezzo per pezzo il Corvo. Prende ogni singola “piuma” e ri-assembla la creatura come solo un attento scienziato farebbe… non dico “un padre” perché non si ha generazione ma vero e proprio studio, reperimento di elementi e assemblamento, per ottenere un effetto su chi entra in contatto con il risultato ottenuto.

Il primo punto esaminato è L’ESTENSIONE. La brevità è amica dell’effetto, perché qualunque intenso eccitamento non può che essere breve. La sessione di lettura necessaria, per seguire questo percorso, deve essere unica: altrimenti si ottengono tante piccole poesie spezzate, con effetti diminuiti. La matematica vene in aiuto: la lunghezza deve essere posta in relazione MATEMATICA con l’effetto. Il numero scelto da Poe per IL CORVO è 108, 108 versi.

Questo famigerato EFFETTO deve essere il punto da prendere immediatamente in considerazione una volta che si è pensato all’estensione, dato che le due cose devono essere messe in relazione. Poe chiama a sé la BELLEZZA; ed essa è il territorio proprio della poesia. La BELLEZZA viene ricondotta non a una qualità ma a un effetto, “subito” da chi la sperimenta. Nella bellezza poetica vi è reale ELEVAZIONE dell’ANIMA. Questo sentimento riesce a spingere un’anima sensibile fino alle lacrime; questo dona il tono all’opera da comporre. Guardando a quelle lacrime… il tono quale può essere se non la TRISTEZZA? Questo sentimento porta subito al tono in senso stretto, il quale si indentifica nella MALINCONIA. Il tutto è molto simile alla costruzione di uno spartito musicale, ed è stupefacente. Infatti, il passo successivo rimanda inevitabilmente alla MUSICA: la trovata “teatrale” utilizzata da Poe per incatenare tutte le successioni fino ad ora espresse è il REFRAIN (il ritornello). La monotonia del refrain è la sua forza; ma a Poe questo non basta, e punta a diversificarne il senso nel corso della scrittura. L’unità di suono e pensiero dell’elemento di ripetizione viene, infatti, elaborato per essere via via modificato.

Per soddisfare queste premesse il refrain deve essere breve. Poe decide che la posizione a fine strofa, in chiusura, risulta la più “forte”. La sonorità di questa sublime trappola per il lettore è fondamentale. Poe parte dalla scelta della vocale “o” e della consonante “r”, entrambe prolungabili e piuttosto musicali. Cercando di scegliere una parola che possa rispondere a tutte queste necessità, ricollegandosi alla MALINCONIA, a Poe viene immediatamente in mente NEVERMORE. Forse ci saremmo aspettati una genesi più sofferta, per una parola così evocativa, in realtà è stata un’intuizione scaturita dalla consequenzialità di un ragionamento incentrato sulla logica e l’analisi.

A questo punto si giunge a un DESIDERATUM assai interessante: il PRETESTO. Poe deve motivare la ripetizione del refrain e riflettendo sul fatto che solo una creatura non razionale potesse indugiare in una ossessione del genere… un animale è stato il primo pensiero; poi questa creatura prende le sembianze del pappagallo (per la sua natura), il quale viene sostituito dal CORVO (per l’effetto… essendo l’uccello del malaugurio per antonomasia).

Ma in che contesto NEVERMORE può comparire corroborando un significato che abbia come volto la malinconia? A questo tono va riunita la BELLEZZA, che è la chiave per l’eccitazione dell’anima… e beh, Poe a questo punto tocca uno dei punti intorno cui ruota l’immaginario che tanti incubi ci provoca. L’argomento scelto è la morte della donna amata, che per Poe è ciò che di più poetico vi è nel mondo (bizzarro…).

Le labbra dell’amante sono il mezzo attraverso il quale la bellezza, la tristezza e la poeticità possono farsi sostanza pulsante. EROS e THANATOS: i due poli intorno cui gravitano molte delle narrazioni di Poe. Il sentimentale viene dallo scrittore sempre associato alla morte, alla privazione e alla lontananza. Le donne amate sono sempre presentate come un qualcosa di incorporeo; tutte le volte che la fisicità incontra l’oggetto del desiderio… la passione muta in perversione: le parti del corpo divengono spettri materiali che vivono oltre la morte e urlano dalla tomba, come in Berenice. In Poe l’Amore si definisce e si manifesta nella MORTE; Eros e Thanatos sono inscindibili.

Continuando nell’autopsia della creatura poetica, Il CORVO va messo in relazione con l’amante, e l’animale deve contestualmente ripetere il refrain; la trovata dello scrittore è geniale e si risolve nella trasformazione del refrain in una risposta ossessiva, ad altrettanto ossessive domande pronunciate dall’amante.

Va ricordato che la ripetizione deve avere la possibilità di rinnovarsi nel significato. All’inizio l’amante pare affrontare il suo nero interlocutore con nonchalance… quasi divertendosi. Il corvo viene prima associato a epiteti come “goffo”, per poi diventare nel corso della narrazione “bieco” e “oscuro”. L’atteggiamento inizialmente incuriosito viene infestato dalla superstizione: le domande dal vago passano all’angoscioso… e poi tutto esplode nella DISPERAZIONE. A circa metà del poema possiamo scorgere il tipico masochismo dei personaggi di Poe: l’amante si tormenta, e il tormento è la creta da cui prende vita un gigante di dolore e delizie. La DISPERAZIONE diventa per Poe una opportunità per la mutazione di significato da praticare nei confronti del refrain: un CLIMAX ascendente avvia la sua corsa ma ciò avviene nella lettura e non nella composizione. Una volta scorta questa opportunità, lo scrittore parte, come preannunciato, dal picco. Dal massimo della disperazione nasce, davvero, la poesia nella sua materialità. Dal picco viene cesellato tutto il resto: il ritmo, il metro, il tono e l’impostazione complessiva, a ritroso.

Poe pone grande attenzione alla versificazione: partendo da forme classiche innesta soluzioni originali. L’originalità è uno dei cardini su cui si basa un’ottima composizione, così ci dice La filosofia.

L’originalità non viene, però, proposta come un prodotto dell’impulso: gli enigmi letterari di Poe si risolvono nel laborío. La combinazione dei versi (canonici), la rima e le allitterazioni tessono la tela dell’invischiante, meravigliosa, malinconia del CORVO.

Fino alle ultime due strofe, escluse, si ha una narrazione. Nel raccontare l’incontro tra l’amante e il nero volatile è necessario trovare un “pretesto”: Poe riesce nell’intento partendo dall’ambientazione. Lo scrittore pensa immediatamente a un luogo sublime come una foresta oscura; in realtà per enfatizzare l’effetto bisogna puntare alla sintesi, non solo riguardo alla lunghezza ma anche nell’immaginare uno spazio. Per mantenere concentrata l’attenzione viene scelto un luogo chiuso. La tempesta è la scusa plausibile per invogliare il corvo a entrare nell’appartamento. Lo sbattere delle ali che all’inizio fa pensare a un bussare alla porta, forse dello spettro della donna amata, è una delle meravigliose suggestioni che donano una iniziale nota di bizzarria al tutto. Il corvo alla fine entra… e dove si va a posare? Su un busto di Pallade.

Il busto è sì il luogo più comodo e sicuro che potrebbe attrarre un volatile disorientato… ma è anche il simbolo dell’estetica di Poe. Il nero del corvo e il bianco della statua diventano il simbolo dell’unione tra classico e romantico, tra razionale e irrazionale, tra vuoto e pieno. Pallade Atena viene generata dal cervello di Zeus, come il poema che è il prodotto del più attento ragionamento. Poe non manca di osservare quanto la sonorità dell’epiteto della dea sia in linea con la melodia da lui tanto ricercata.

La narrazione è improntata sul “fantastico”; l’ultima domanda dell’amante, però, mette fine alla narrazione. Si crea all’improvviso una sospensione allucinatoria che prende vita dal tormento estatico: Poe sottolinea come, a questo punto, sia necessario il fluire di una corrente sotterranea di un significato che si faccia suggestione. La corrente deve essere accennata, se fosse superficiale sarebbe più adatta alla prosa. Le ultime due strofe forniscono la suggestione di ali in grado di farla sorvolare sulla precedente narrazione che diventa, così, simbolo.

“TAKE THY BEAK FROM OUT MY HEART” (“Togli il becco dal mio cuore”), questa è la prima metafora del poema. La metafora e il refrain si enfatizzano a vicenda portando il lettore a pensare che vi sia una morale.

Il CORVO è il simbolo del doloroso e duraturo ricordo.


L’EDIZIONE ILLUSTRATA DA ME SCELTA IN QUESTA SEDE

La versione illustrata da me presa in esame è stata pubblicata dalla Easy Peasy Publishing, nell’Aprile del 2014. La grafica è elegante e non eccessiva. Il testo propone prima la lirica in italiano e nella sua completezza; in seguito i versi vengono riproposti spezzandoli sulla pagina di destra. La seconda apparizione della poesia è affiancata nella pagina di sinistra dalle illustrazioni. Queste ultime sono quelle realizzate da Gustave Doré, nel 1884.

Ph. Francesca Lucidi

Doré fu un noto pittore, incisore e litografo francese. Nacque nel 1832 e morì nel 1883. Il suo stile è romantico e fortemente simbolico; posso dire che esprime perfettamente l’enigma delle sottese suggestioni di Poe. Le immagini di Doré sono inquietanti e al contempo dolci; epiche e assolutamente dinamiche.

Nella mia lettura ho affiancato l’edizione della Feltrinelli del Corvo e altre poesie. Di questo volume ho apprezzato particolarmente l’introduzione e l’idea di far concludere la lettura con l’inserimento della Filosofia della composizione. La versione del Corvo curata dalla Feltrinelli è molto più comprensibile… appare quasi semplificata rispetto a quella della Easy Peasy. La superiorità del volume Feltrinelli sta nella scelta di affiancare il testo originale… come potremmo capire e percepire il cesellamento e la musicalità di Poe, altrimenti? Forse la Easy Peasy avrebbe dovuto pensare a una cosa del genere. Ciò che ho apprezzato del volume illustrato è la maggiore corrispondenza, solo in alcuni punti, con il testo originale: ad esempio Pallas viene tradotto con Pallade; la versione della Feltrinelli riporta un “Minerva”… che non ho amato particolarmente. Ma non avrei potuto fare il raffronto senza il testo inglese, non fornito dal volume illustrato.

Posso anche osservare che la qualità grafica delle immagini non è delle migliori; in ogni caso, quello della Easy Peasy, è un volumetto da avere perché gli ampi spazi bianchi si prestano a un nostro intervento diretto. Poi, l’esile formato è perfetto da portare sempre con sé.

 Che la prossima tempesta vi porti tante suggestioni e pochi tormenti.

 

  Per altre informazioni su Edgar Allan Poe, come promesso, potete seguire il link sottostante:

https://pennybloodblog.blogspot.com/search/label/SEZIONE%20DI%20STORIA%20E%20CULTURA.%20ARTICOLO%20num.6%20-%20Edgar%20Allan%20Poe%3A%20la%20personalit%C3%A0%20e%20il%20particolarissimo%20aspetto%20fisico%20del%20%22CORVO%22



[1] 1841

[2] Godwin fu un filosofo, politico e romanziere inglese; considerato il primo esponente moderno dell’anarchia. In Caleb Williams si rivolge contro il governo tirannico e l’abuso di potere. Sposò la “femminista” Mary Wollstonecraft, la quale morì di parto. La loro figlia Mary sarà nota con il nome di Mary Shelley. 


sabato 27 giugno 2020

C'È DAVVERO LA NECESSITÀ DI UN PRINCIPE? Neil Gaiman e l'antifiaba LA REGINA NEL BOSCO

UNO SGUARDO AFFASCINATO VERSO LO SCRITTORE "DARK" NEIL GAIMAN:
IL CORAGGIO DI ESSERE DIVERSI

 

Il volume in foto è edito da MONDADORI (prima ristampa 2016). È da notare la curiosa sovraccoperta in trasparenza.

NEIL GAIMAN

Neil Richard Gaiman nasce il 10 Novembre del 1960, in Inghilterra.

È Portchester, nell’Hampshire, a dare i natali a un artista poliedrico, dark… che ha contribuito a creare mondi che hanno travalicato le “dimensioni” per infestare fumetti, letteratura e cinema.

Gaiman attrae immediatamente: ha un aspetto da rock star tormentata ma con uno sguardo curioso e brillante da far ricordare un Trent Reznor targato anni 90. Il legame con la musica non è affatto fuori luogo: Gaiman ebbe anche una curiosa band punk, e si decolorò i capelli per assomigliare a Billy Idol… cosa che, pensando alla chioma ribelle di Neil, credo abbia generato un certo “effetto”; i collegamenti con il settore musicale non finiscono qui, ma li scopriremo pian piano.

Guardando questo scrittore, sceneggiatore, questo “personaggio”… vediamo un misto tra un uomo attraente e una specie di strano Frankenstein che riunisce i tratti del front-man dei The Cure, e di un Tim Burton con una fisicità un po’ meno mortifera. Gaiman inizia a provare a scrivere fumetti fin da bambino; poi comincia a scrivere seriamente con alcuni articoletti qua e là, da freelance. La cosa che ci ricollega alla figura di Gaiman percepita come l’amico strano, figo, che ha la camera con la musica perennemente accesa, è la sua prima prova di pubblicazione: una biografia tascabile dei Duran Duran, del 1984.

Gaiman esce, poi, dallo stigma della rock star per gettare le basi di ciò che lo rende, davvero, un divo assoluto del panorama dark, nerd… sentimentale e oscuro. Alla fine degli anni 80, Gaiman approda alla DC COMICS. All’inizio non sono tutti così entusiasti e fiduciosi riguardo a questo nuovo progetto: la sinergia con Dave McKean, con cui Gaiman aveva già lavorato, poco tempo prima, nella Graphic Novel Violent Cases, porta però alla nascita di BLACK ORCHID.

L’Orchidea Nera riesce, invece, a fiorire maestosamente. Tra le pagine, le protagoniste incontrano diversi famosi personaggi della DC; lo stile di Gaiman vi imprime il suo marchio con prepotenza. Da lì, l’OSCURO per adulti trova la sua espressione. La scia fascinosa e nera tracciata da Black Orchid prende di nuovo profili delineati e accattivanti con il nuovo lavoro: THE SANDMAN (1989).

Con la collaborazione di vari artisti, Gaiman mette in piedi un mondo che straripa di mitologia, profili taglienti e sguardi accattivanti… lo stile gaiman è ormai saldo come una statua, di un vecchio cimitero… che in questo contesto ha comunque il permesso di muoversi e spostarsi, se vuole.

Sandman è colui che regola sogni e incubi. A differenza degli altri personaggi viene disegnato in un modo tutto suo, che effettivamente ci fa anche ricordare qualcuno… chissà chi. Questo personaggio è solitario, oscuro: un vero capolavoro per gli “strani” vestiti di nero di tutto l’universo. La beltà di Gaiman sta nel riuscire a essere alla moda, ovviamente per un certo tipo di moda, unendovi un bagaglio culturale che oltrepassa gli ambiti del pantheon fumettistico per introdurre storia e mitologia. Sandman è un vero successo, e moltissime sono le dichiarazioni entusiastiche a riguardo; Stephen King si spinge addirittura a dirci:

“Queste sono storie grandiose e noi tutti siamo fortunati a possederle. Per leggerle ora, e magari rileggerle poi, più tardi, quando avremo bisogno di qualcosa che solo una buona storia ha il potere di darci: trasportarci in un mondo che non è mai esistito, in compagnia di gente che avremmo voluto essere... o che, grazie a Dio, non siamo."

La serie ha fine nel 1996; nel frattempo Gaiman inizia a diffondere nel mondo i suoi romanzi e ad accumulare premi letterari.

 Tra i romanzi si ricordano Good Omens (1990), Neverwhere (1996), Stardust (1999).

Stardust sbarca al cinema nel 2007; il libro per bambini CORALINE, pubblicato nel 2002, vede il suo adattamento cinematografico nel 2009.

Non è da dimenticare American Gods, pubblicato nel 2001.

 

 UNO SGUARDO PIÙ APPROFONDITO SULLA BIGLIOGRAFIA DI GAIMAN

La collaborazione con Dave McKean non si ferma con Black Orchid ma ha una sua continuità nel corso del tempo: la loro sinergia porta alla nascita del famosissimo Coraline, che consacra Gaiman agli occhi della “massa”. Oltre a questo piccolo capolavoro si ricordano altri romanzi per ragazzi, prodotti con l’apporto di McKean: I lupi nei muri (2003); Mirrormask (2005), tratto dall’omonimo film; Crazyhair (2009).

 Gaiman collabora anche con altri personaggi che contribuiscono in modo magistrale alla forza d’impatto di storie inusuali: dall’unione con il lavoro dello scrittore e sceneggiatore statunitense Michael Reaves nascono Il ragazzo dei mondi  infiniti (2007) e il seguito Il sogno di argento (2016).

 Un altro lavoro di Gaiman dalla considerevole risonanza è Il figlio del cimitero, pubblicato nel 2008 con il titolo The graveyard book. La storia narra di un orfano che trova una famiglia assai particolare…

Lo scrittore pubblica anche raccolte di racconti, come quella che prende vita proprio da una costola del Figlio del cimitero: Il cimitero senza lapidi e altre storie nere.

Un altro illustratore, che si innesta con successo tra le parole di Gaiman, è Chris Riddell.

Riddell, oltre alla creazione di molti “mondi” per l’infanzia, vanta anche collaborazioni con l’Observer e l’Economist.

Dall’unione Gaiman-Riddell vengono alla luce L’esilarante mistero del papà scomparso (2014) e La regina nel bosco (2015).

 Durante la sua carriera, Gaiman, però, non abbandona affatto l’universo fumettistico.

Nel 2003 resuscita alcuni personaggi di Sandman nella rivisitazione intitolata Endless Night, un’antologia distintasi come prima graphic novel inserita nella lista dei best sellers del New York Times, come fiction a copertina rigida.

 Sempre nel 2003, Gaiman crea 1602, un fumetto in cui la fauna della Marvel viene reinterpretata immaginandone le origini risalenti proprio all’anno 1602.

 Ricordando gli echi mitologici alle origini delle creazioni fumettistiche di Gaiman, è da segnalare il saggio I miti del nord, edito nel 2018.

 

I PREMI

Neil Gaiman ottiene diversi premi con i suoi lavori.

Ad esempio, guadagna il Premio Bram Stoker per American Gods, nel 2001. Questo riconoscimento è assegnato, per opere dell’orrore, dall’Horror Writers Association.

Nel 1987, il primo anno di vita del premio, il vincitore non è altri che Stephen King… per il romanzo Misery.

Il Premio Nebula per la narrativa breve, della Science Fiction and Fantasy Writers of America, viene assegnato a Coraline nel 2003.

Gaiman vince anche Il Premio Hugo, istituito dalla World Science Fiction Society e celebrato durante la Worldcon: la più longeva fiera di fantascienza al mondo, nata nel 1939. Questo riconoscimento viene ottenuto da Gaiman per diverse opere: American Gods, nel 2002; Coraline, nel 2003; e Il figlio del cimitero, nel 2009. Quest’ultimo vale allo scrittore anche la Carnegie Medal: un prestigioso premio istituito nel 1936 e indirizzato a scrittori per bambini che abbiano pubblicato nel Regno Unito durante l’anno precedente alla nomina in corso. Il vincitore della Carnegie riceve una medaglia d’oro e un buono di cinquecento sterline da destinare a donazioni di libri per biblioteche pubbliche o scolastiche.

Lo scrittore riesce a guadagnarsi un premio Hugo, per la rappresentazione drammatica, anche in ambito cinematografico con il suo lavoro per la serie Dottor Who.

L’eco di Gaiman nella cultura di massa è sancito dalla sua “apparizione” in un episodio dei Simpson (Il colpo del libro), e in un episodio della serie tv che ha portato alla ribalta, come mai era accaduto con questa portata, il “mondo nerd”: THE BIG BANG THEORY (La polarizzazione della cometa).

 

L’APPASSIONATO SITO UFFICIALE DI NEIL GAIMAN… che parla di TESTAMENTI

Sul sito ufficiale dello scrittore si possono trovare tutte le canoniche informazioni riguardanti novità, eventi e pubblicazioni; ciò che rende speciale questo spazio sono gli interventi di Gaiman: nella sezione blog, egli tocca una questione che non ci aspetteremmo.

Mentre visitavo il sito, mi è saltato agli occhi uno strano scritto di Gaiman: egli affronta il tema delle volontà testamentarie e in particolare della strana malavoglia che affligge gli scrittori quando si deve pensare al “destino” delle proprie opere, dopo la morte. Gaiman si preoccupa riguardo a tutte le controversie che spesso accompagnano la dipartita di un artista; e delle innumerevoli bizzarre o funeste sorti dei prodotti lasciati in “eredità”, quando questa eredità non viene ben definita dal possessore, dal padre di questi prodotti.

Gaiman rimprovera gli scrittori e invita chiunque scriva, anche se non è un creatore di best sellers, a preoccuparsi di tutti quei fogli, appunti… files che circondano l’esistenza di una persona che scrive. Neil Gaiman arriva a inserire dei documenti legali scaricabili, che possano servire da base a una sistemazione delle volontà testamentarie di uno che per mestiere o passione narra.

Questo ci riconduce alla personalità forse macabra di Gaiman… ma sicuramente anche alla sua modernità, alla sua concretezza… che può risultare bizzarra ma che è, appunto, razionale a suo modo. La sensibilità di questo scrittore non può che accrescere l’estremo fascino “scarmigliato” che lo circonda.

 

NEIL GAIMAN E L’INCONSUETA COLLABORAZIONE CON ALICE COOPER (appassionati di musica mi rivolgo a voi!)

Vi ho già parlato della commistione di arti espressive che si riuniscono in Gaiman, tra le quali spicca la musica.

Neil Gaiman oltre a essersi decolorato i capelli per assomigliare a Billy Idol, ha collaborato negli anni novanta con la controversa rock star Alice Cooper.

Il ritratto espressionista di Gaiman va a completarsi, appunto, con la citazione del concept album di Cooper: The last temptation.

Il musicista è noto per la colorita atmosfera che circonda i suoi spettacoli e il suo immaginario: giacche di pelle, catene… morte e toni ridicoli, che funzionavano talmente bene da aver portato Cooper alla ribalta proprio per la sua voce stridula e il suo stile inconfondibile. Non dimentichiamo che l’horror rock ha avuto uno straordinario sviluppo negli anni novanta… poi però (per mio rammarico) ha lasciato spazio ad altri generi. Chi ricorda i Misfits, ad esempio?

Gaiman ha contribuito alla creazione del “concetto” dell’album, dal quale è stato tratto un fumetto, realizzato dallo scrittore, che compare anche nel videoclip realizzato per un singolo dell’album di Alice Cooper; il prodotto è stato pubblicato prima dalla Marvel, poi dalla Dark Horse Comics.

Alice Cooper non ha però esaurito tutti i suoi colpi: recentemente è tornato alla ribalta per la militanza nella band HOLLYWOOD VAMPIRES… che, udite udite, vanta la presenza dell’attore JOHNNY DEPP. Depp non è forse un altro degli attori che ha dato volto all’immaginario cinematografico dark? Alla fine molte linee striscianti e vellutate si riuniscono: tra le arti esiste un canale di comunicazione che riesce sempre a stupirci.

 

LA REGINA NEL BOSCO

La regina nel bosco viene pubblicata nel 2014 con il titolo originale The sleeper and the spindle (L’addormentata e il fuso). In Italia è pubblicata da Mondadori nel 2015, con la traduzione di Simona Brogli.

Le illustrazioni sono del già citato Chris Riddell.

Questa storia si può definire un’ANTIFIABA. Tutti gli elementi del genere fiabesco vengono rispettati, ripresi… per essere ribaltati. Già dal titolo originale si può capire a quali famose fiabe faccia finta di pagare un debito. La protagonista è una Biancaneve cresciuta e divenuta regina: il “nome” non viene citato esplicitamente ma molte evocazioni rimandano a quella storia nota. Biancaneve qui è semplicemente “La Regina”… che avrà a che fare con un’altra regnante, presumibilmente addormentata.

L’oscura questione viene introdotta da alcuni nani intenti ad attraversare le alte montagne che separano il “regno addormentato” da quello di Kanselaire.

Le sete di Dorimar sono meravigliose… ma purtroppo le montagne rendono il commercio impossibile: si riflette su questa eventualità mentre i nani si stanno avviando alla ricerca proprio di quelle sete, per donarle alla Regina che sta per sposarsi, come qualunque buona regina delle fiabe, e del mondo reale, dovrebbe fare. I nani portano con loro un meraviglioso rubino, come pagamento per il prezioso tessuto da acquistare. Tutto sembra procedere fino a che i nani arrivano alla locanda di Mastro Foxen, che già conoscono. Mastro Foxen tiene in ottima considerazione i nani, i quali gli portano sempre in dono il vino morbido e dolce di Kanselaire, molto diverso da quello aspro di quelle regioni remote… così remote solo a causa delle montagne. In realtà ben altre asprezze attanagliano quelle terre. La locanda è circondata di una strana atmosfera: i nani vengono presto a conoscenza di una strana EPIDEMIA che si sta diffondendo velocemente. Le genti del regno cadono addormentate a causa di una strana malattia… o incantesimo. Un ubriaco, un uomo grasso e uno stagnino; uniti a una servetta e ad altre donne del posto si alternano in un racconto pieno di nefasti eventi che hanno iniziato a coinvolgere il regno e la famiglia reale da sessant’anni, o forse ottanta (su questo sembrano tutti molto confusi). Ciò che resta certo tra i racconti è ciò che le fiabe raccontano: sì, le fiabe vengono chiamate in causa come la fonte affidabile delle cose fatte e da fare. Una principessa giace addormentata; e ora tutto il regno la sta seguendo in questo sonno fatato, o stregato. Cosa fa risvegliare le persone nelle fiabe? UN BACIO.

Di solito sono i principi a salvare capra e cavoli, qui no! La Regina è colei che rimanderà il matrimonio, per cui non è poi così entusiasta, e vestirà armatura e tutto il necessario per andare a salvare la situazione che i nani gli raccontano.

Ciò che rende diversa questa storia è la forza rivoluzionaria della protagonista: una donna forte che sfida le convenzioni per fare la cosa giusta, non è svenevole o tremolante ma risoluta e intelligente; e sa usare molto bene la spada. È lei a infondere coraggio ai nani, e non il contrario.

Le ambientazioni sono molto dark, il che ci fa immediatamente pensare alla versione cinematografica della Bella Addormentata: anche qui è coinvolto un fuso, una malevola presenza e innumerevoli rovi di spine e rose che avanzando inghiottono ogni cosa. Il castello nella foresta di Arcaire è completamente imprigionato da rami avvizziti che lasciano spazio a nuove braccia arboree e malvagie che rinascendo da esse si mostrano potenti e rigogliose. Per arrivare al castello, i salvatori attraversano la città che è grande e, ora, spaventosa. Gli abitanti sono addormentati e ricoperti di ragnatele: le inquietanti tele ricoprono anche lo spazio tra i seni procaci della servetta che poco tempo prima aveva parlato ai nani. Il sonno non si ferma in una quieta immobilità: la gente addormentata parla con frasi sconnesse e si muove… e incalza verso gli “ospiti” svegli con un fare spaventoso che rievoca i migliori film di zombi in pieno STILE ROMERO.


Alla fine del percorso c’è il castello e la torre. Nella torre vi è solo un vecchio fuso e un letto impolverato che ospita una meravigliosa fanciulla addormentata. Oh, la bellezza di quei tratti così angelici… non pensate male di questa povera creatura vero? Forse nell’universo di Gaiman dovreste riconsiderare le vostre convinzioni. C’è però da dire che nel regno vi è una sola persona realmente sveglia: una vecchia orribile, quasi calva… e la cui testa lascia cadere un’unica e putrida treccia striminzita. La figura disgustosa si trascina per il palazzo parlottando in modo rabbioso; mangia i suoi frugali pasti inveendo contro la cuoca addormentata… ma allo stesso tempo compie gesti inconsulti come il riposizionare a dovere un neonato verso il seno della madre, mentre entrambi sono nella catalessi di quella epidemia, o magia, o stregoneria.

Le fiabe sono molto chiare a riguardo, la servetta lo aveva detto ai nani, SOLO UN BACIO può essere la speranza. Ma voi direte che qui non ci sono principi… ed io v’incalzo chiedendovi qual è il problema.

Leggete questa storia, perché? Beh, Gaiman riesce, come sempre, a dar voce ai reietti e a umanizzarli. Lo scrittore unisce il fanciullesco e l’onirico con una serietà disarmante. I problemi esistono anche nei mondi inventati, ciò che fa la differenza è il coraggio di affrontare rovi reali e figurati. In tutto questo, tutti si salvano da soli e sono anche in grado di salvare gli altri… Sì, anche e soprattutto una DONNA.

La regina nel bosco è l’antifiaba del coraggio di oltrepassare le convenzioni per fare la cosa giusta, e un immenso e stupendo invito A ESSERE DIVERSI.

 

LE ILLUSTRAZIONI

Il lavoro di Riddell s’innesta perfettamente nella storia di Gaiman, anzi non s’innesta ma ne è carne e sangue.

I toni delle illustrazioni sono in bianco e nero, il tutto intervallato da preziosi dettagli in oro che rendono tutto estremamente “regale”.

I personaggi appaiono inizialmente simili a quelli che ci aspetteremmo da una fiaba… però, pian piano… se si guarda bene si iniziano a notare dei particolari che possono confonderci come esplicarci in anticipo risvolti inaspettati.

Come ogni illustrazione “comandata” (cioè come dovrebbe essere, ma non sempre è), il tratto di Riddell narra. Le figure fanno sia da accompagnamento alla storia, sia da narrazione autonoma che racconta ciò che le parole non riportano.

In quanto a tecnica e distribuzione: possiamo vedere diversi doppi spreads, ossia illustrazioni che attraversano entrambe le pagine in apertura; in questi casi il testo può essere assente come apparire in brevi stralci, su sfondo sfumato o sovrastando il disegno.

Le illustrazioni singole, distribuite su una sola pagina non invadendo quella limitrofa, sono preponderanti. Sfogliando, si possono vedere diverse figure o oggetti in forma di spot: piccoli disegni narranti che appaiono qua e là.

Le cornici sono il tocco di classe del libro: circondano non solo parti del testo ma anche le illustrazioni mute presenti nelle prime due pagine della fiaba.


Tutto è finemente cesellato, e questo si può comprendere soprattutto se si estrae un secondo il libro dalla sovraccoperta e si ammirano i piatti. Il piatto anteriore riporta la misteriosa addormentata in bianco su fondo nero, il piatto posteriore ci staglia davanti solo un teschio, che potremmo pensare poco in tinta con la sovraccoperta molto in stile fiaba. Se volete incamminarvi nel regno… basta fissare i fogli di guardia, e capirete quanto sia stata coraggiosa la NOSTRA Regina.


Buona lettura.

Un consiglio… ANNUSATE QUESTO LIBRO!!!