L’AUTORE
Luca Giribone nasce a Torino nel 1975. Fin da giovanissimo si dedica alla scrittura, collaborando con La Stampa di Savona nell’inserto giovanile Il Menabò. Si trasferisce a Milano e segue la sua passione per il mondo della comunicazione: proprio per questa sua attitudine inizia a lavorare nel mondo pubblicitario come copywriter.
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DELL’AUTORE
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NEW YORK 1941. FORSE
INTRODUZIONE
L’opera qui presentata è stata pubblicata da Europa Edizioni nel 2017. Partendo dalle informazioni in quarta di copertina, New York 1941. Forse è un breve romanzo dichiarato come “noir, sapientemente hard boiled”; si promettono colpi di scena, si preannuncia che nulla è quello che sembra e, sempre nelle informazioni preliminari concesse al lettore, si citano i protagonisti e una questione legata alla corruzione dell’uomo più potente di New York. Fin qui niente di strano… se non fosse che questi dettagli sono relativi solo a metà del romanzo. Questa particolare “falla” finisce per trasformare in qualcosa di poco chiaro i potenziali punti di forza e i gorghi affascinanti in cui si trova avvinto il lettore. Partiamo dalla storia…
TRAMA E STRUTTURA
Frank Logan è un giornalista del New York Daily,
talentuoso e arrivista, sicuro ma spezzato. Sono proprio i suoi pensieri confusi
a darci il benvenuto in una lettura che sicuramente mantiene la promessa
relativa ai colpi di scena. Frank ci accoglie in un dormiveglia, anche se non
si può parlare di quella situazione in senso stretto… le sensazioni però sono
simili ma nulla è identificabile con certezza. Fin da questo primo incontro con
il protagonista ci approcciamo alla struttura “doppia” del romanzo: i fatti
raccontati dal narratore onnisciente sono riportati in tondo, e questo “Dio”
creatore viene interrotto in maniera sommessamente potente dai pensieri dei personaggi,
dai loro ricordi e dalla narrazione in prima persona di ciò che vedono, vivono
e ricordano; i narratori invadenti interrompono la scrittura usuale con
un corsivo marcato che suggerisce subito una rottura, potremmo dire una “falla”
nell’intreccio apparentemente ben congeniato e diretto allo scopo del suo
compiersi in maniera impeccabile.
Il ricordo… questo elemento è forse la chiave che il
lettore dovrebbe cercare, dato che non c’è!
Ogni attore di questa storia psichedelica (ma non si
era detto noir?) ripercorre alcuni momenti della propria vita fino a dover
sbatter su un nome che non si riesce a ripescare nella mente, un data, un seguito
a qualche vicenda che sicuramente sarebbe impossibile dimenticare per pura rimozione
difensiva. Lo smarrimento del non ricordo viene avvertito da ogni personaggio: siamo
partiti da Frank… ma ciò è vissuto anche da Dorothy.
Dorothy è un’affascinante avvocatessa originaria del
sud, vive con Frank un amore intenso ma diviso tra la preoccupazione costante
per le sorti del suo amato cacciatore di scoop e una risolutezza che fa splendere
la donna, tra una sigaretta accesa e un rimprovero al suo amato troppo dedito
all’alcol. Frank si sente perennemente colpevole davanti a Dorothy, sia per le
sue piccole manchevolezze e debolezze che per l’effettivo pericolo a cui si espone
ogni giorno… trascinando con sé la sua donna, che naturalmente risponderebbe di
ogni passo falso, o oltre, di Frank.
Questa volta la questione è davvero gigantesca e
potenzialmente, molto potenzialmente, senza via di uscita… come le profonde fondamenta
di un grattacielo approvato e voluto da tutti, ma che nelle strutture della sua
costruzione nasconde parecchi cadaveri caduti per la crescita di qualcosa di
più importante solo perché socialmente riconosciuto.
Il Sindaco Richmond ha saputo farsi strada distribuendo
caramelle allucinatorie fatte di promesse, piccole necessità soddisfatte, sorrisi
e apparizioni ben studiate su giornali improvvisamente felici per un’uscita
inaspettata dal deficit finanziario. Frank ha fiutato il tipico odore della
corruzione: un misto tra acqua di colonia costosa, fumo di sigaretta, e morte.
Chi aiuterà Frank in questa suo assalto suicida? Potremmo pensare che l’amico
poliziotto Jim Ross sarà l’aiutante prescelto.
GIMME THE BALL JIMMY!
Jimm Ross è un segugio, o almeno da qualche parte deve
pur esserci un animale da cerca in un corpo da ippopotamo ingurgita gelato. Jim, come gli altri personaggi, non è di New
York. La storia di Jim parte da lontano, da una casa abitata da altre persone
dalla corporatura molto robusta… e la cosa non impedisce a Fleur Ross di occuparsi
di quasi tutte le case dell’alta società di Boston, compresa quella dei Flynn,
dove il capostipite Ross ha un bel da fare con quelle mani che sanno fare proprio
tutto! Della famiglia Ross fa parte anche Bobby, un ragazzo disabile che ama
alla follia suo fratello Jimmy. Fleur è una donna risoluta, la sola cultura
accademica che Jimmy memorizza tra una definizione sprezzante sul mondo e la
promessa solenne di badare SEMPRE a Bobby. Purtroppo, la vita di strada crea legami
forti legati dalla voglia di fare branco, ma il branco ha la maledetta potenzialità
di riversarsi violentemente sul membro più debole. Jimmy contravviene alla “grande
promessa”; Jimmy “la palla”, perché è così che tutti lo chiamano, viene
ingannato da un amore grande e apparentemente necessario e va contro sé stesso
come se una forza dall’alto guidi la sua stupida e prevedibile vita fallace.
Jim Ross, ormai poliziotto, forse per rimediare a
qualche senso di colpa, incontra Frank. Una panchina e una brioche con il
gelato… un appuntamento misterioso dato al giornalista Frank Logan tramite un
ennesimo biglietto anonimo. Il risoluto giornalista ha paura, ha capito e cerca
come può di sopravvivere; se non per lui stesso… per Dorothy.
L’appuntamento è alle dieci di sera a Staten IsIand.
Questo luogo in realtà non è solo il posto più adatto per venir uccisi tra le
nebbie e le ombre della brulicante malavita degli anni Quaranta… Staten Island è
un “PUNTO DI VISTA”. Sì, vi siete affezionati a questa storia? Sicuramente potreste
darmi una risposta affermativa: chi non vorrebbe giustizia per la vedova
Marley? Adesso, però, dovete dimenticare tutto, stracciare la quarta di
copertina e prepararvi a un vortice che risucchia i multipli punti di vista
della narrazione per fare in mille pezzi il presunto bel romanzo noir e far
esplodere tutt’altro.
Frank sicuramente è destinato a patire la punizione
per il solito “aver ficcato il naso”, qualcuno magari interviene, come nelle
più rosee aspettative. Jim un ruolo alla fine lo assume… anche perché sa
decisamente molto di più di quello che si potrebbe mai aspettare.
Un convento di suore, la speranza di Frank di aver
trovato un “informatore”; Bobby che nella notte accoglie un poliziotto e un
giornalista da romanzetto d’appendice per portarli nel profondo della... consapevolezza?
Bobby? Sì, Bobby è il classico individuo così puro e
sensibile da poter essere il tramite per mondi, o verità, che non riusciamo a
percepire perché persi nel vacuo quotidiano chiacchiericcio.
A questo punto devo essere onesta e dirvi che arriva la
fantascienza, il futuristico, il metafisico… il metanarrativo.
Il romanzo, noir mezzo hard boiled, vedrà
Frank attraversare una porta che lo obbligherà a una vista obbligata che fa
male agli occhi e alla testa, e la morfina che ha preso prima dell’incontro con
Bobby non può bastare.
Ho parlato di un autore che gioca a fare Dio: Frank dovrà
scegliere se compiere un atto di fede per cercare di scoprire il significato della
vita e della morte, e soprattutto penserà a Dorothy, a quanto deve a lei almeno
un tentativo.
Negli anni Quaranta il mondo è duro e fatto di armi,
silenzi e bocche cucite sapientemente: tutti vogliono vivere nella totale
superficie di un apparente benessere, se non realmente presente almeno in
potenza (il Sogno Americano!). La guerra, nel 1941, ancora sembra una cosa che
non riguarda le casette ricolme di famiglie ben assemblate e nascostamente
crepate all’interno.
Ed
è tutto un mondo limitato a una morale appassita e alla vita quieta di una coppia
felice di non esssere capace di pensare al significato della vita stessa, o di
essere, al contrario, capace di non pensarci.
Potreste dire che da allora non sia cambiato poi molto il quadretto sociale, il punto è proprio questo: passato, presente e futuro a volte si manifestano in lapsus che ci fanno credere di aver dormito troppo poco, Frank dovrà svegliarsi e decidere di cedere alla non decisione. In fine…
Bastava solo stare lì ad aspettare.
ANALISI E RECENSIONE
Ripartiamo dalla quarta di copertina:
Un
romanzo noir, sapientemente hard boiled, parrebbe al lettore.
Questa storia ha, inizialmente, tutte le caratteristiche
del noir metropolitano: New York fa da protagonista con i suoi intrecci,
le sue ferite, il suo benessere parziale misto al martirio delle fasce più deboli.
La componente sociologica che distacca il noir dal semplice giallo deduttivo si
distribuisce tra i personaggi positivi in lotta con il crimine. Si sa, però,
che la parte dei buoni non è così edificante in storie di questo genere… il
protagonista è un personaggio ambiguo che si trova a svolgere il suo ruolo non
per una volontà di giustizia per una malsana ricerca di risposte, dettata anche
e soprattutto da motivazioni personali.
Sarà.
Ma i giornali campano di sventure. Forse col tempo ti abitui al fatto che una
tragedia è uguale a un buon numero di copie vendute. E finisci per essere
contento quando un treno deraglia e muoiono trenta persone.
Nel noir il protagonista finisce per essere la vittima,
non c’è un solo delitto da decifrare ma un’intera collettività marcia da
affrontare dal punto di vista di una vita dissoluta, disordinata e che procede
con un piede nel lato della malavita stessa. In questo caso non abbiamo il
classico detective privato con un passato turbolento nella polizia ma un
giornalista… lo stigma viene però recuperato nel passato di Frank: il padre era
un poliziotto che sembra incarnare meglio i dettami dell’hard boiled, in
esasperazione.
Come
è morto tuo padre Frank?
Rispetto al noir, l’hard boiled è invaso di azione; in
questo romanzo si passa da sommessi movimenti e storie poco confortanti fino a un’azione
preceduta, però, dai tipici climax del thriller. Nel mezzo una voragine…
Ci si abitua ad una storia, che potremmo dire scontata
per quanto sia ben dentro i suoi panni, ma quella storia così ben delineata in
quarta di copertina… ad un certo punto implode.
Nella
prima parte del romanzo mi sono concessa un innamoramento folle nei confronti dei
personaggi, grazie alle confessioni “corsive”. Queste sono le parti a
cui il lettore deve fare particolare attenzione: i nomi che sfuggono, i ricordi
che sfumano nel nulla nonostante gli sforzi dei loro deboli detentori… cosa succede?
Come è possibile che il nome di una sorella morta o il decesso di un genitore sfuggano
come il numero di telefono di un conoscente utilizzato poche volte?
La storia di Jim e del fragile Bobby ha riempito il
mio spirito di rabbia e commozione: in poche pagine la storia dei reietti di
una città che promette meraviglie, la saggezza della strada mista alla sua
indicibile e spietata rabbia.
Niente, a un certo punto siamo nella storia, siamo a Staten
Island e dobbiamo gettare tutto a mare.
Sicuramente
viene ben mantenuta la promessa di stupire e, nonostante lo straniamento
iniziale siamo costretti ad andare avanti totalmente avvinti dalla necessità di
capire; anche il protagonista prescelto deve capire, anche se non “crede”.
Buttate
via il noir, l’hard boiled… qui arriva la fantascienza.
Ecco il punto caldo. Il lettore vuole essere stupito
ma non va mai tradita la sua fiducia. Mettiamo il caso che io acquisti un libro
che in quarta di copertina promette storie di vita quotidiana… che “non sono
quello che sembrano”. Si sfiora l’eventualità che le storie possano generare
brividi o inquietudine, ma non si cita espressamente l’horror. Mettiamo anche
il caso che io odi l’horror, che questo genere non faccia proprio per me…
pensate al mio stato mentale quando, a metà delle pagine del mio volume, mi
trovo in una bella storia horror con tutti i crismi. Come dovrei sentirmi? Potrei
andare avanti se la storia ormai mi ha coinvolta, o posso rimettere il libro sugli
scaffali abbandonando qualcosa che non avrei voluto per me.
In New York 1941 si citano il noir e l’hard boiled
in quarta di copertina, si chiama in causa lo stupore del lettore, in modo
quasi tautologico; poi se abbiamo la curiosità di leggere la biografia dell’autore
siamo informati del fatto che il libro sviluppa “temi fantastici”, tutto qui.
Il tuo Dio è il tuo autore. Il Dio
che potrebbe far morire è l’onnipotente padrone del tuo destino scritto su un
foglio di carta.
Nella
storia ci troveremo davanti a questa frase, e nulla sembrerà più vero.
La
fase oltre gli eventi, la svolta metafisica che propone una serie di mirabili
riflessioni metanarrative è assolutamente potente… riuscendo a coinvolgere
anche un’allergica alla fantascienza come me.
Qui
lo shock iniziale allarma e fa temere un sensazionalismo puntato all’emersione
di un mostro marino letterario vorace. Alla fine, Luca Giribone sa quello che
fa, ma dovrebbe considerare che anche i lettori sanno quello che fanno.
New York 1941 può
essere oltrepassato nel successivo romanzo dello scrittore: TRYTE (il quale
parrebbe un seguito, che però non posso assolutamente immaginare).
Secondo voi da cosa dipende la vita di un personaggio?
Conan Doyle tentò di uccidere il suo Sherlock Holmes, sappiamo tutti chi reclamò
più volte il suo primato: il lettore.
Il Dio del personaggio è l’autore o il lettore? Il Dio
dell’autore chi potrebbe essere?
Io preferisco pensare tutto in termini meno assolutisti:
collaborazione… questa parola mi piace.
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Buona lettura!