DI ANDREA TOMASELLIPh Francesca Lucidi
- Anno di Pubblicazione 2014
- Edizione 1°
- Editrice Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano
- Edito nella collana ZOOM Filtri
- Edizione digitale
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- FORMATO KINDLE €0,99
- Pagine 21
DALLA DESCRIZIONE EDITORIALE
“Un apologo allucinato e allucinatorio, nero come l’inferno sotterraneo che strangola i due protagonisti. La ricerca disperata di una via di uscita, qualsiasi possa essere. Un gioiello della narrativa underground, in tutti i sensi.” (Alan D. Altieri)
L’AUTORE
Andrea Tomaselli, regista, sceneggiatore, scrittore e poeta, insegna sceneggiatura e regia cinematografica presso la Scuola Holden di Torino. Oltre al racconto LA PESTE DELL’ANNO UNO, è autore del romanzo BODIES, STORIA DI UN POLIAMORE (2021) e della raccolta poetica VERSI EROTICI NEL DESERTO. Ha curato la sceneggiatura e la regia dei film ZOOSCHOOL, del 2015, e KYO, del 2019. È da ricordare anche lo spettacolo teatrale LA CREPANZA DEI MANIACI D’AMORE, di cui cura sceneggiatura e regia.
IL TERRORE DI RICONOSCERSI IN UN RACCONTO CHE CHIAMERETE “IMPOSSIBILE”
UN’ALLUCINATORIA ESPERIENZA DI VIOLENTA PRIGIONIA. LA PACE ORRORIFICA DI UN ETERNO PRESENTE, UN’APOCALISSE DEL SÉ…
SOPRAVVIVERANNO ELETTI O CATTIVI? UN RACCONTO ASFISSIATE, DI GENIALE E CRUDELE LUCIDITÀ. COSA RESTA? FORSE UN NOME?
Ventuno pagine in cui scivolare svelti, come in un pozzo apertosi sotto ai piedi di un’innocente creatura che gioca alla vita, ignara fanciulla.
Una prosa dal peso evangelico e dalla tagliente determinazione profetica. Sfido il lettore a credere a ciò che è accaduto, anche se non basta restare nella vicenda per sentirsi al sicuro, dietro infissi solidi, muri di confine.
Come può ciò che non c’è essere allegorico? Il dubbio crea il doppio, lo specchio la fa incarnare quell’allegoria impossibile. Il fatto è tremendo, ancor più straziante è capire che un’apocalisse non deve avere per forza la dimensione dell’universalità.
Un padre, dei figli… una figlia. Straniati dai tempi verbali che non portano avanti o indietro, ma ti immobilizzano: saremo invitati sull’arca della nuova alleanza. Una mano sulla spalla, un sussurro amorevole: il mondo è un posto orribile, tu sei orribile. Tu sei il frutto di quel mondo.
Non occorre chiamare per nome un insulto; come non è forse determinante uccidere il lupo se le pecore non ne hanno mai veduto uno. E così deve essere. Il buon pastore, il padrone, conosce la regola. E sa selezionare la razza migliore, la più forte, la più docile.
La peste dagli echi metaletterari è globale e domestica. Un’infezione epidermica che entra dagli occhi, per la bocca, per il sangue puro. I cattivi sono malati, i malati sono le bestie che si sono cibate di un arbitrio da temere. “Lui” li tiene sotto il controllo del suo occhio. I lupi “infetti” corrono, liberi, oltre le pecore che stanno a pascolare sane, in attesa del macello.
Una lettura multidimensionale, che riesce a moltiplicare le visioni sinistre, le critiche sociali che si arrovellano su sé stesse come un serpente morente, ma che sta solo lasciando la dura pelle di un vecchio stato. Un racconto che è così vicino all’inaccettabile da straniare dolorosamente in bellezza.
La storia moltiplica, in uno spazio piccolo, personaggi e lettore. Es e Super Io si specchiano, si confrontano e si scambiamo. Il bambino interiore e il genitore interiorizzato sono qui invenzione, concetto, poi realtà. Agnello e lupo condividono il pericolo di un medesimo predatore.
Una trama di per sé già simbolica, riesce a farsi eco cocciuto che non smette di dire i nomi di tutte le persone, poi di alcune persone, poi di nessuno… per poi ricominciare.
“Mi spiega che esistono pensieri che si travestono, di speranze, si fanno belli per distrarti, farti togliere il fermo dalla porta, e poi invece sono cose mostruose, che ti possono anche uccidere.
[…] Perché è in quel modo che la peste ci imbroglierà.”
“ESPRIMERSI È STATA BRUCIATA”