LA RISOLUZIONE DEL
“PROBLEMA” DELLA CREAZIONE POETICA
TRA UN CORVO E UN RAGIONAMENTO
MATEMATICO
INTRODUZIONE
Pochi sanno che in un primo momento Edgar Allan Poe non
firmò IL CORVO.
La poesia uscì nel 1845, in un numero di febbraio della
American Review… ed era firmata “Quarles”.
Il poema richiamò su di sé molta attenzione, a ragione; ma per un po' di tempo l’autore rimase sconosciuto. Poe, in quel periodo, frequentava la società “letteraria” di New York: ogni settimana, intellettuali e scrittori si riunivano nell’elegante salotto di Miss Anna C. Linch. In un altro articolo, che vi linkerò alla fine di questo intervento, ho già parlato del grande fascino che Poe esercitava sulle persone, anche se sempre in un alone di incertezza e sconcerto.
Durante una riunione, fu chiesto allo scrittore di leggere proprio IL CORVO: Poe recitò la poesia con tale profondità e in estrema, evidente, unione con le parole… che tutto l’emozionato uditorio capì che il misterioso autore era Edgar Allan Poe. Da quel momento la fama dello scrittore crebbe ancor più; siamo, però, consapevoli di quanto la sua ascesa non fu mai continua e che le disgrazie non finirono mai di incontrare l’esistenza del Nostro.La produzione poetica accompagnò lo scrittore per tutta la
vita. Poe, infatti, iniziò a scrivere poesie all’età di quattordici anni. In
vita pubblicò quattro raccolte: una, anonima, nel 1827; e le altre,
rispettivamente, nel 1829, nel 1831 e nel 1845. Poe scelse di pubblicare le sue
poesie principalmente sui periodici letterari: le sillogi poetiche, infatti,
venivano pubblicate in volume quasi completamente a spese dell’autore; Poe non
ha mai fatto mistero della sua volontà, e del bisogno, di guadagnare dai suoi
lavori.
Lo scrittore aveva la tendenza a tornare molto di frequente
sulle sue composizioni, e questo ci aiuterà a comprendere ancor meglio ciò che
andremo ad affrontare in questo articolo. Nelle prime prove si evince l’eco
eccessivo degli studi letterari di Poe; via via le liriche vengono
“semplificate”. Il grido lascia spazio alla suggestione.
A METÀ STRADA TRA CLASSICISMO E ROMANTICISMO
L’essere poetico di Poe oscilla melodiosamente tra un
malinconico e puntuale Neoclassicismo e un Romanticismo che scaturisce proprio
dagli elementi classici. La purezza e l’armonia della forma vengono riprese per
essere guardate con una certa malinconia: lo sguardo “romantico” accompagna le
forme facendone scaturire un rimpianto, una riflessione verso un mondo
profondamente cambiato: il Neoclassicismo viene preso e proposto, e messo
dinanzi al lettore, come una PERDITA. Poe era ossessionato dalla cura della
forma, dalla musicalità della parola e dall’uso cosciente delle figure
retoriche.
Per comprendere i temi che qui si vanno a trattare… non
bisogna mai dimenticare il rapporto stretto tra parole e musica, che in Poe fa
da contraltare alla tragicità dei temi trattati.
Tra gli argomenti scelti vi sono, però, non solo echi
romantici. In Poe è riscontrabile anche un forte Panismo: la natura è
presentata come il luogo privilegiato di una comunione segreta tra l’uomo e le
cose. Anzi, la natura è l’unica delicata consolazione che possiamo ritrovare
tra le righe di Poe. L’ambiente si trasforma, nel tempo, da un luogo aperto a
un ambiente più ristretto… dove il SIMBOLO riesce ad amplificare i suoi
effetti: questo è il caso del CORVO.
Ora è arrivato il momento di appollaiarci su un bianco e
forte busto di Pallade Atena, accanto a una creatura oscura… è il momento di
inebriarci con la lotta invisibile tra classico e romantico, tra BIANCO e NERO.
IL SAGGIO LA FILOSOFIA DELLA COMPOSIZIONE
Se vogliamo comprendere meglio il lavoro compositivo di Poe,
e soprattutto la genesi del CORVO, non dobbiamo fare altro che leggere le
parole e le spiegazioni che ci lascia lo stesso autore. LA FILOSOFIA DELLA
COMPOSIZIONE fu scritto in forma di conferenza e fu pubblicato per la prima
volta sul «Graham’s
Magazine», nel 1846. Obiettivamente, l’autore sfruttò anche la scia del
successo del CORVO, per promuovere questo suo intervento. Il saggio è, appunto,
un’analisi puntuale e precisissima del processo che ha portato alla nascita del
famoso poema; in esso si affollano anche considerazioni più ampie sulla poesia,
sullo stile e sull’onesta di molti autori. Sicuramente Poe è assolutamente
onesto e trasparente: siamo abituati a pensarlo come un velato individuo indecifrabile…
in realtà lo scrittore è molto umile e aperto allo svelamento dei “TRUCCHI
TEATRALI” (così li chiama), che sono dietro alle sue opere. Poe non era solo un
romantico individuo tormentato, ubriacone e drogato. No, Poe era un artista
lucido, logico e assolutamente presente in ciò che faceva. Leggere questo
saggio ci restituisce una figura più completa del NOSTRO. Per chi ha letto I
DELITTI DELLA RUE MORGUE non può non scatenarsi un immediato déjà vu: anche
se il racconto ha preso vita anni dopo il saggio quest’ultimo è meno noto… ed è
quindi più probabile che chi sta leggendo queste parole abbia già affrontato IL
DELITTI piuttosto che LA FILOSOFIA. Leggendo dei ragionamenti e dei
processi mentali di Auguste Dupin, il protagonista intellettivo delle vicende
della Rue Morgue, non si può non ritrovare l’impostazione mentale di Poe
stesso. Leggendo il racconto possiamo aver pensato che fosse strano vedere
tanto lavoro di “analisi” in un lavoro dello scrittore NERO (e sempre dalla
pessima reputazione). No, Poe e Dupin si sovrappongono in un tipo di approccio
al mondo fisico e creativo che innesta maglie ragionate su una catena che
invischia i sensi per inebriarti; o nel caso di Dupin per farti “VEDERE”. La
differenza con Dupin sta nel fatto che Poe non procede dalle condizioni
generali per risalire ai particolari sfuggenti… lo scrittore determina tutti
gli elementi singolarmente, volta per volta, ma attraverso una consequenzialità
inversa, rispetto al canonico procedere che potremmo immaginare o che noi
stessi perseguiamo.
LE PREMESSE
Il tono del saggio è assolutamente preciso e incisivo, il tutto è
unito a una colloquialità che disvela le cose non come una confessione ma come
un conversare sincero. All’inizio, Poe si riferisce a Charles Dickens e a una
risposta che questi compie in relazione a un esame che Poe fece di Barnaby
Rouge (o anche Il morto che cammina, di Dickens[1]).
Dickens propone un’analisi del Caleb Williams di William
Godwin[2]
(un’opera che pone le basi del moderno anarchismo), adducendo al fatto che
Godwin avrebbe scritto la sua opera a ritroso. Poe dice di dubitare di questa
eventualità ma non esita a confermare che questo tipo di processo ha
innumerevoli vantaggi: ci spiega, infatti, che un intreccio degno di questo
nome deve essere elaborato prendendo in considerazione il dénouement,
l’epilogo… lo scioglimento dell’intreccio stesso; il tutto per connettersi al
meglio con l’EFFETTO che si vuole ottenere.
Secondo Poe, quando si scrive si fa il comune errore di partire da
una tesi o da un fatto del giorno, riempiendo gli spazi con descrizioni e
dialoghi e cercando di connettere eventi e azioni. Poe dice chiaramente che il
punto da cui egli parte è l’EFFETTO desiderato, cercando di ottenerlo con il
massimo dell’originalità.
Lo scrittore osserva che sarebbe stato interessante se altri
avessero avuto l’idea di scrivere qualcosa riguardo al loro processo di
composizione… per Poe gli autori non lo fanno per pura VANITÀ.
Di solito gli scrittori sembrano, effettivamente, invocare su di
essi una sorta di estatica intuizione… quasi divina, e magari su questo Poe è
stato un po' duro probabilmente: magari la genesi sta tra il ragionamento e
qualcosa di più impalpabile. Poe ammette che esistono delle suggestioni, ma che
queste nascono più che altro dalla confusione… quasi dal caso. Il Nostro vuole
invece far sbirciare dietro le quinte e mostrare come si scelgono e si usano
“il belletto rosso e i nei”.
Le suggestioni di Poe non sono mai figlie del caso: vengono dalla
precisione rigorosa e consequenziale tipica di un “PROBLEMA MATEMATICO”
(lettori de I Delitti della Rue Morgue… percepite analogie?).
Per la sua disamina lo scrittore sceglie IL CORVO, perché è la poesia
più conosciuta. L’interesse per l’analisi che va a compiere viene da lui
discostato dall’interesse che meriterebbe l’oggetto esaminato. Poe è molto
umile e onesto fin dalle prime battute… confessa anche che il suo intento è
irrimediabilmente collegato alla volontà di SODDISFARE il gusto dei critici e
del pubblico, anche se sorvola sulle motivazioni alla base di questo scopo.
ANATOMIA DEL CORVO
Il primo punto esaminato è L’ESTENSIONE. La brevità è amica
dell’effetto, perché qualunque intenso eccitamento non può che essere breve. La
sessione di lettura necessaria, per seguire questo percorso, deve essere unica:
altrimenti si ottengono tante piccole poesie spezzate, con effetti diminuiti.
La matematica vene in aiuto: la lunghezza deve essere posta in relazione
MATEMATICA con l’effetto. Il numero scelto da Poe per IL CORVO è 108, 108
versi.
Questo famigerato EFFETTO deve essere il punto da prendere
immediatamente in considerazione una volta che si è pensato all’estensione,
dato che le due cose devono essere messe in relazione. Poe chiama a sé la
BELLEZZA; ed essa è il territorio proprio della poesia. La BELLEZZA viene
ricondotta non a una qualità ma a un effetto, “subito” da chi la sperimenta.
Nella bellezza poetica vi è reale ELEVAZIONE dell’ANIMA. Questo sentimento
riesce a spingere un’anima sensibile fino alle lacrime; questo dona il tono all’opera
da comporre. Guardando a quelle lacrime… il tono quale può essere se non la
TRISTEZZA? Questo sentimento porta subito al tono in senso stretto, il quale si
indentifica nella MALINCONIA. Il tutto è molto simile alla costruzione di uno
spartito musicale, ed è stupefacente. Infatti, il passo successivo rimanda
inevitabilmente alla MUSICA: la trovata “teatrale” utilizzata da Poe per
incatenare tutte le successioni fino ad ora espresse è il REFRAIN (il
ritornello). La monotonia del refrain è la sua forza; ma a Poe questo non basta,
e punta a diversificarne il senso nel corso della scrittura. L’unità di suono e
pensiero dell’elemento di ripetizione viene, infatti, elaborato per essere via
via modificato.
Per soddisfare queste premesse il refrain deve essere breve. Poe
decide che la posizione a fine strofa, in chiusura, risulta la più “forte”. La
sonorità di questa sublime trappola per il lettore è fondamentale. Poe parte
dalla scelta della vocale “o” e della consonante “r”, entrambe prolungabili e
piuttosto musicali. Cercando di scegliere una parola che possa rispondere a
tutte queste necessità, ricollegandosi alla MALINCONIA, a Poe viene
immediatamente in mente NEVERMORE. Forse ci saremmo aspettati una genesi
più sofferta, per una parola così evocativa, in realtà è stata un’intuizione
scaturita dalla consequenzialità di un ragionamento incentrato sulla logica e
l’analisi.
A questo punto si giunge a un DESIDERATUM assai interessante: il
PRETESTO. Poe deve motivare la ripetizione del refrain e riflettendo sul fatto
che solo una creatura non razionale potesse indugiare in una ossessione del
genere… un animale è stato il primo pensiero; poi questa creatura prende le
sembianze del pappagallo (per la sua natura), il quale viene sostituito dal
CORVO (per l’effetto… essendo l’uccello del malaugurio per antonomasia).
Ma in che contesto NEVERMORE può comparire corroborando un
significato che abbia come volto la malinconia? A questo tono va riunita la
BELLEZZA, che è la chiave per l’eccitazione dell’anima… e beh, Poe a questo
punto tocca uno dei punti intorno cui ruota l’immaginario che tanti incubi ci
provoca. L’argomento scelto è la morte della donna amata, che per Poe è ciò che
di più poetico vi è nel mondo (bizzarro…).
Le labbra dell’amante sono il mezzo attraverso il quale la
bellezza, la tristezza e la poeticità possono farsi sostanza pulsante. EROS e THANATOS:
i due poli intorno cui gravitano molte delle narrazioni di Poe. Il sentimentale
viene dallo scrittore sempre associato alla morte, alla privazione e alla
lontananza. Le donne amate sono sempre presentate come un qualcosa di
incorporeo; tutte le volte che la fisicità incontra l’oggetto del desiderio… la
passione muta in perversione: le parti del corpo divengono spettri materiali
che vivono oltre la morte e urlano dalla tomba, come in Berenice. In Poe
l’Amore si definisce e si manifesta nella MORTE; Eros e Thanatos sono
inscindibili.
Continuando nell’autopsia della creatura poetica, Il CORVO va messo
in relazione con l’amante, e l’animale deve contestualmente ripetere il
refrain; la trovata dello scrittore è geniale e si risolve nella trasformazione
del refrain in una risposta ossessiva, ad altrettanto ossessive domande
pronunciate dall’amante.
Va ricordato che la ripetizione deve avere la possibilità di
rinnovarsi nel significato. All’inizio l’amante pare affrontare il suo nero
interlocutore con nonchalance… quasi divertendosi. Il corvo viene prima
associato a epiteti come “goffo”, per poi diventare nel corso della narrazione
“bieco” e “oscuro”. L’atteggiamento inizialmente incuriosito viene infestato
dalla superstizione: le domande dal vago passano all’angoscioso… e poi tutto
esplode nella DISPERAZIONE. A circa metà del poema possiamo scorgere il tipico
masochismo dei personaggi di Poe: l’amante si tormenta, e il tormento è la creta
da cui prende vita un gigante di dolore e delizie. La DISPERAZIONE diventa per Poe
una opportunità per la mutazione di significato da praticare nei confronti del
refrain: un CLIMAX ascendente avvia la sua corsa ma ciò avviene nella lettura e
non nella composizione. Una volta scorta questa opportunità, lo scrittore parte,
come preannunciato, dal picco. Dal massimo della disperazione nasce, davvero,
la poesia nella sua materialità. Dal picco viene cesellato tutto il resto: il
ritmo, il metro, il tono e l’impostazione complessiva, a ritroso.
Poe pone grande attenzione alla versificazione: partendo da forme
classiche innesta soluzioni originali. L’originalità è uno dei cardini su cui
si basa un’ottima composizione, così ci dice La filosofia.
L’originalità non viene, però, proposta come un prodotto dell’impulso:
gli enigmi letterari di Poe si risolvono nel laborío. La combinazione dei versi
(canonici), la rima e le allitterazioni tessono la tela dell’invischiante,
meravigliosa, malinconia del CORVO.
Fino alle ultime due strofe, escluse, si ha una narrazione. Nel
raccontare l’incontro tra l’amante e il nero volatile è necessario trovare un “pretesto”:
Poe riesce nell’intento partendo dall’ambientazione. Lo scrittore pensa immediatamente
a un luogo sublime come una foresta oscura; in realtà per enfatizzare l’effetto
bisogna puntare alla sintesi, non solo riguardo alla lunghezza ma anche nell’immaginare
uno spazio. Per mantenere concentrata l’attenzione viene scelto un luogo
chiuso. La tempesta è la scusa plausibile per invogliare il corvo a entrare
nell’appartamento. Lo sbattere delle ali che all’inizio fa pensare a un bussare
alla porta, forse dello spettro della donna amata, è una delle meravigliose suggestioni
che donano una iniziale nota di bizzarria al tutto. Il corvo alla fine entra… e
dove si va a posare? Su un busto di Pallade.
Il busto è sì il luogo più comodo e sicuro che potrebbe attrarre un
volatile disorientato… ma è anche il simbolo dell’estetica di Poe. Il nero del
corvo e il bianco della statua diventano il simbolo dell’unione tra classico e
romantico, tra razionale e irrazionale, tra vuoto e pieno. Pallade Atena viene
generata dal cervello di Zeus, come il poema che è il prodotto del più attento ragionamento.
Poe non manca di osservare quanto la sonorità dell’epiteto della dea sia in linea
con la melodia da lui tanto ricercata.
La narrazione è improntata sul “fantastico”; l’ultima domanda dell’amante,
però, mette fine alla narrazione. Si crea all’improvviso una sospensione allucinatoria
che prende vita dal tormento estatico: Poe sottolinea come, a questo punto, sia
necessario il fluire di una corrente sotterranea di un significato che si
faccia suggestione. La corrente deve essere accennata, se fosse superficiale
sarebbe più adatta alla prosa. Le ultime due strofe forniscono la suggestione
di ali in grado di farla sorvolare sulla precedente narrazione che diventa,
così, simbolo.
“TAKE THY BEAK FROM OUT MY HEART” (“Togli il becco dal mio cuore”),
questa è la prima metafora del poema. La metafora e il refrain si enfatizzano a
vicenda portando il lettore a pensare che vi sia una morale.
Il CORVO è il simbolo del doloroso e duraturo ricordo.
L’EDIZIONE ILLUSTRATA DA ME SCELTA IN QUESTA SEDE
La versione illustrata da me presa in esame è stata pubblicata
dalla Easy Peasy Publishing, nell’Aprile del 2014. La grafica è elegante e non
eccessiva. Il testo propone prima la lirica in italiano e nella sua completezza;
in seguito i versi vengono riproposti spezzandoli sulla pagina di destra. La
seconda apparizione della poesia è affiancata nella pagina di sinistra dalle
illustrazioni. Queste ultime sono quelle realizzate da Gustave Doré, nel 1884.
Doré fu un noto pittore, incisore e litografo francese. Nacque nel
1832 e morì nel 1883. Il suo stile è romantico e fortemente simbolico; posso dire
che esprime perfettamente l’enigma delle sottese suggestioni di Poe. Le
immagini di Doré sono inquietanti e al contempo dolci; epiche e assolutamente
dinamiche.
Nella mia lettura ho affiancato l’edizione della Feltrinelli del Corvo
e altre poesie. Di questo volume ho apprezzato particolarmente l’introduzione
e l’idea di far concludere la lettura con l’inserimento della Filosofia
della composizione. La versione del Corvo curata dalla Feltrinelli è molto
più comprensibile… appare quasi semplificata rispetto a quella della Easy Peasy.
La superiorità del volume Feltrinelli sta nella scelta di affiancare il testo
originale… come potremmo capire e percepire il cesellamento e la musicalità di
Poe, altrimenti? Forse la Easy Peasy avrebbe dovuto pensare a una cosa del
genere. Ciò che ho apprezzato del volume illustrato è la maggiore corrispondenza, solo in alcuni punti, con il testo originale: ad esempio Pallas viene tradotto con Pallade;
la versione della Feltrinelli riporta un “Minerva”… che non ho amato
particolarmente. Ma non avrei potuto fare il raffronto senza il testo inglese,
non fornito dal volume illustrato.
Posso anche osservare che la qualità grafica delle immagini non è
delle migliori; in ogni caso, quello della Easy Peasy, è un volumetto da avere perché
gli ampi spazi bianchi si prestano a un nostro intervento diretto. Poi, l’esile
formato è perfetto da portare sempre con sé.
[1] 1841
[2] Godwin
fu un filosofo, politico e romanziere inglese; considerato il primo esponente
moderno dell’anarchia. In Caleb Williams si rivolge contro il governo tirannico
e l’abuso di potere. Sposò la “femminista” Mary Wollstonecraft, la quale morì
di parto. La loro figlia Mary sarà nota con il nome di Mary Shelley.