IL VECCHIO E IL MARE
HEMINGWAY, IL “PAPA”
Cenni biografici
Ernest Hemingway fu un uomo
solido, coraggioso… la personificazione del mito dell’Americano forte e
indistruttibile. Come tutti i miti, purtroppo, vengono chiamati in causa il “cammino”, la tragedia e i simboli. Hemingway era come un
iceberg, e questa similitudine ha le sue ragioni, che vedremo con calma.
La sua fu una vita avventurosa,
che fatichiamo a immaginare intorno a un solo uomo.
Entriamo nel dettaglio, che ne
dite?
Beh, lui ebbe ben quattro mogli;
è stato padre e combattente. Ha attraversato due Guerre Mondiali, dittature.
Hemingway ha percorso continenti e visto i leoni; è sopravvissuto a
incidenti potenzialmente mortali, ha tirato di boxe e ha ottenuto le sue belle
soddisfazioni. Tutto questo è stato facile? Le vincite facili sono anch’esse un
mito.
Dal fuoco delle bombe, lo
scrittore è arrivato alla Guerra Fredda… anzi, a due Guerre Fredde: una storica
e una personale.
Ernest Hemingway nasce ad Oak
Park, negli USA, nel 1899. Suo padre era medico e proprio insieme al suo papà Hemingway
ha conosciuto e vissuto la natura dei Grandi Laghi: la pesca, la caccia e la
vicinanza con gli Indiani d’America. Ernest non va all’università: dopo i
nostri “studi superiori” inizia subito a scrivere e a lavorare come cronista
per il Kansas City Star.
Nel 1917 gli Usa entrano in
guerra. Ernest non viene arruolato per un difetto all’occhio sinistro, però il
Nostro non si arrende e riesce a partecipare al conflitto come autista
volontario nella Croce Rossa. Viene mandato in Italia sul fronte del Piave e
viene ferito; ricoverato a Milano vi resta diverso tempo.
Torna in patria come un eroe.
Inizia a impegnarsi nella scrittura di racconti ma la madre vede questa
attività come una perdita di tempo. Ernest si trasferisce a Chicago e inizia a
lavorare per il Toronto Star e lo Star Weekly.
La sua lunga sfilza di matrimoni
inizia con una donna più grande di lui di sei anni: Elizabeth Hadley
Richardson. La donna gode di una cospicua rendita e i due progettano di andare in
Italia. In realtà, la meta diventa Parigi, dove lo scrittore conosce importanti
personaggi della Lost Generation[1]
come Ezra Pound e Scott Fitzgerald.
Poi, lo scrittore scopre la
Spagna e durante il suo soggiorno entra in contatto con le tradizioni locali
come la corrida. Tra il 1923 e il 1926 vengono pubblicati Tre
racconti e dieci poesie, Torrenti di Primavera e Fiesta.
Arriva il primo divorzio ed Hemingway scrive contestualmente Uomini senza
donne.
Sposa Pouline Pfeiffer, nasce un
altro figlio. La famiglia si trasferisce in Florida e lo scrittore termina Addio
alle armi.
I viaggi si fanno sempre più
intensi e tra le varie mete spicca l’Africa. Ernest e Pouline si godono anche
un lungo Safari; lo scrittore, durante il viaggio, viene però colto da una grave
dissenteria che gli provoca il prolasso dell’intestino. Questo problema di
salute è solamente uno tra i tanti che tra le mille avventure incontreranno il
volitivo Hemingway. È da ricordare un bizzarro infortunio causato da un sacco
da boxe.
La personalità e la fisicità
dello scrittore sono ormai leggendarie; gli amici finiscono per soprannominarlo
“IL PAPA”.
Il rapporto di Ernest con la
Guerra e le battaglie di mezzo mondo resta il più duraturo nella vita dello
scrittore. Scoppia la guerra civile in Spagna, e nel 1937 Hemingway abbraccia questa
nuova avventura portando avanti con passione e cieca abnegazione il suo lavoro di corrispondente.
Durante l’attività sul fronte
spagnolo incontra la scrittrice e giornalista Martha Gellhorn, conosciuta,
però, un anno prima negli Stati Uniti… a Key West, dove lo scrittore aveva vissuto una
tranquilla parentesi familiare con Pouline e i figli.
Nel 1939 Ernest si trasferisce a
Cuba; lì si gode la sua leggendaria barca: Pilar, acquistata qualche
anno prima tra i suoi viaggi e i suoi altri soggiorni a Cuba.
Questo periodo è però segnato
dalla rottura del suo secondo matrimonio e dal consolidamento del rapporto
sentimentale con Martha.
Nel 1940, lo scrittore pubblica Per
chi suona la campana. Il romanzo trae ispirazione dalle vicende della
Guerra Civile Spagnola. La Gellhorn ha spinto molto per la redazione di
quest’opera. Per chi suona la campana sfiora il Premio Pulitzer. Martha
ed Ernest si sposano.
Hemingway non resta mai fermo da
qualche parte, e anche i suoi manoscritti viaggiano insieme a lui: Per chi
suona la campana viene scritto tra Cuba, la residenza estiva in Idaho, e il
Wyoming.
Nel 1941 Martha viene mandata in
Cina, per il suo lavoro da giornalista. Hemingway la raggiunge ma non prova la
stessa attrazione avvertita per altri luoghi e i due tornano presto a Cuba,
prima della dichiarazione di guerra degli Stati Uniti. Lo scrittore salpa con
la sua leggendaria Pilar e inizia a pattugliare le acque cubane alla
ricerca di sottomarini tedeschi. Hemingway è così convinto della sua missione che
ha equipaggiato la sua barca con bombe e mitragliatori. Il governo cubano è a
conoscenza dell’attività dello scrittore che, infatti, prosegue nella caccia
agli U-Boats tedeschi proprio dietro approvazione governativa (il piano viene presentato a Washington dall'ambasciatore americano a Cuba). Quest’atto porta
lo scrittore sotto il mirino dell’FBI che, da quel momento, lo sorveglierà per
tutta la vita…
Hemingway viene mandato in Europa
come corrispondente di guerra nel secondo conflitto mondiale. A Londra conosce
Mary Welsh, di cui si infatua immediatamente mentre il rapporto con Pouline è
al capolinea.
Il 6 giugno del 1944 partecipa
allo sbarco in Normandia. Come semplice testimone dei fatti lo scrittore non
dovrebbe intervenire direttamente… ma Hemingway non è abituato a starsene con
le mani in mano, a scrivere solamente. Il “Papa” arriva persino a guidare una
milizia poco fuori Parigi, e la cosa non passa inosservata. Il coraggioso
Ernest viene accusato formalmente…
nonostante questo, però, riceve la medaglia di bronzo per il coraggio
dimostrato durante la Seconda Guerra Mondiale, ma solo nel 1947.
La salute dello scrittore diventa
sempre più precaria e il suo rapporto con la scrittura diventa piuttosto
complicato. Ciò che ancora non scema è la sua irrequietezza, la sua eterna
ricerca. I viaggi continuano ed Hemingway viene richiamato dal fascino europeo; in realtà, ciò nel senso più stretto del termine dato che a Venezia si infatua,
addirittura, di una diciannovenne.
Tornato negli Stati Uniti,
termina le bozze de Il vecchio e il mare in poche settimane. Il romanzo,
che lo scrittore aveva intrapreso con l’intento di creare la sua opera
migliore, viene pubblicato nel 1952. La breve storia di Hemingway vende milioni
di copie in due giorni… e questa volta sì, vince il premio Pulitzer.
Saremmo tentati di pensare che a
quel punto lo scrittore si sarebbe potuto sentire “a posto”, con la fortuna e
con la sua coscienza di scrittore. In realtà no. Hemingway decide di tornare in
Africa.
Durante il soggiorno nel
continente africano, lo scrittore viene coinvolto in ben due incidenti aerei e
viene dato per morto. La vita di Ernest, invece, vince ancora la fortuna.
Hemingway riporta gravi ferite e ulteriori traumi… che vanno ad aggiungersi a
quelli regalati da tutti i precedenti scontri con la morte.
Nel 1954 viene insignito del Premio
Nobel. Lo scrittore accetta il premio in denaro ma non si reca a Stoccolma per la
premiazione: la sua salute inizia a piegarsi sotto i colpi di quella fortuna
che sembra aver sempre battuto.
A Cuba, il rifugio preferito di
Hemingway inizia ad essere in pericolo. Castro è intenzionato a nazionalizzare
le proprietà degli americani, lo scrittore e la moglie lasciano così Cuba per l’ultima
volta, nel 1960. Beni e manoscritti vengono messi al sicuro in una banca dell’Avana.
In realtà le proprietà di Hemingway verranno espropriate dopo gli eventi della
Baia dei Porci; la moglie dello scrittore chiederà aiuto al presidente Kennedy
che riuscirà a intervenire con successo: ciò che verrà recuperato sarà donato
dalla vedova al Museo Presidenziale. In verità, Castro non ha ceduto senza nulla
in cambio: durante l’incontro con la vedova, organizzato grazie all’impegno del
Presidente, si riuscirà a riavere documenti e manoscritti solo dopo la
donazione da parte della vedova della tanto amata residenza cubana di
Hemingway.
Lo scrittore continua a rimaneggiare
manoscritti ma inizia ad avvertire difficoltà nell’organizzare le stesure. Va
in Spagna e viene fotografato dalla rivista Life… ma non il suo stato di
salute appare sempre più provato, a tutti.
Il vigoroso corpo di Hemingway e
la sua mente lucidissima iniziano ad abbandonarlo ed egli si presenta sempre
più sofferente e preoccupato.
Lo scrittore viene ricoverato
alla Mayo Clinic nel Minnesota, sotto falso nome; l’FBI, però, che lo tiene nel
mirino dai tempi della Seconda Guerra Mondiale, viene subito a conoscenza della
difficile situazione di Ernest Hemingway.
Dopo le dimissioni, e il ritorno nell’Idaho,
non vi è alcuna evidente ripresa. Lo scrittore viene trovato con in mano il suo
fucile… e viene ricoverato per una seconda volta. Al quadro clinico difficile
di Hemingway si era aggiunto un problema alla vista, che lo affliggeva
particolarmente perché gli toglieva la
possibilità di continuare la sua più grande partita con la fortuna e con se
stesso: la scrittura.
Alla fine, Hemingway si spara
nella sua casa di Ketchum, in Idaho. È il 2 luglio del 1961.
Anche suo padre, anni prima,
aveva deciso di suicidarsi per sfuggire a un male incurabile; in realtà si è
molto ipotizzato su problemi di salute ereditari al sangue, che potrebbero aver
minato la salute fisica e mentale di molti membri della famiglia Hemingway. Si
è addotto anche ai numerosi traumi cranici che avrebbero potuto portare a un deterioramento
della mente dello scrittore. Alla fine, si cerca sempre di spiegare ciò che è terribilmente
doloroso, si cerca di sopravvivere ponendo spesso domande che non hanno
risposta. Negli anni successivi alla morte dello scrittore, si suicidano anche la
sorella Ursula e il fratello Leicester.
Quando lo scrittore riceve il
Nobel, anche se non si reca a Stoccolma, manda un discorso da leggere
pubblicamente. Nel discorso spiccano parole dure, chiare e che esplodono di
significati forti… come tutta la scrittura di Hemingway:
“SCRIVERE,
NELLA MIGLIORE DELLE IPOTESI, È UNA VITA SOLITARIA.”
IL PRINCIPIO DELL’ICEBERG, e
dopo mezzogiorno a nuotare…
Per comprendere la scrittura di
Hemingway basta aprire a caso uno dei suoi romanzi: se leggiamo poche righe sembra
di trovarsi dinanzi a un articolo di giornale. Non è da dimenticare che
Hemingway fu un corrispondete di guerra: uno abituato a vedere gli orrori
peggiori senza far “poesia”. Il sentimento dello scrittore non traspare, almeno
non nell’immediato. Tutto è diretto, riferito, oggettivo.
In verità, nel complesso tutto
ciò che viene descritto e riportato ha echi, significati nascosti che non
vengono resi attraverso termini difficili o voli pindarici: l’oggetto più
semplice, il pesce più piccolo e l’uccellino più insignificante diventano la
personificazione di un concetto, di un sentimento personale del personaggio,
del romanzo o dell’uomo in generale.
Nel maggio del 1954, Ernest
Hemingway risponde alle domande di George Plimpton, durante un’intervista
rilasciata a Madrid. In quella chiacchierata emerge il “principio dell’Iceberg”:
sostanzialmente i sette ottavi di uno scritto sono sommersi… lo scrittore
conosce tutto ma ne mette la maggior parte sott’acqua.
In fine, ciò che appare oggettivo
e striminzito è una totalità che parla attraverso frasi corte, facili. Essere
facili è estremamente difficile… così dice Carver (e non lo cito testualmente),
e ciò ci mostra Hemingway.
L’idea romantica che abbiamo sulla
scrittura spesso è un costrutto di fascinazione e poca conoscenza. Sì, è vero
che gli scrittori sono gente strana… ma dietro vi è conoscenza, metodo e vita.
L’abnegazione è indubbia quando si parla di grandissime penne come Hemingway,
che presumibilmente ha scelto di uccidersi pur di non vedersi impossibilitato a
scrivere. Ma ciò che si scrive viene solo dalla mente? Perché quando affronto
un autore per la prima volta mi piace dilungarmi proponendo dei cenni
biografici? È
davvero evidente che la vita è il grembo da cui gli artisti portano alla luce
storie, sentimenti e convinzioni… filosofie. Unisci la vita all’abilità e alla
pratica costante e, se la fortuna ci mette del suo, ecco che può venir fuori il
capolavoro.
Hemingway è riuscito a partecipare
a due Guerre Mondiali, a sposarsi quattro volte, a girare mezzo mondo e ad
esser mezzo morto per decine di volte… e a scrivere grandi capolavori vincendo
il Nobel. Davanti a questi esempi è difficile non sentirsi abbastanza inetti.
Ma, in realtà, dovremmo pensare che partire da esempi e dimenticarsi di vivere
la propria vita per prendersi le proprie verità è una follia; questo ce lo dimostra
lo stesso Hemingway, e basta guardare al modo in cui egli si rapportava alla
scrittura. Lui scriveva al mattino, in piedi, e appuntava un numero di battute che
doveva raggiungere su una tabella. A mezzogiorno chiudeva tutto e andava a farsi
un bagno in piscina. Ecco tutto. L’emulazione è un brutto tarlo, ma sicuramente
possiamo trarre ispirazione dalle vite dei grandi artist. Ricordiamoci innanzitutto
di vivere E DI NON SCONTRARCI CONTRO QUALCHE ICEBERG: è meglio pensare alla
profondità prima di fermarsi sulla pericolosa apparenza.
IL VECCHIO E IL MARE: accenni
di trama, lo stile e il gioco del “trova i temi”
Santiago è il protagonista di
questo romanzo, anzi, è uno dei protagonisti; e Santiago non è solo ciò che
sembra. Questo personaggio è vecchio e la sua anzianità va oltre il conto degli
anni e si misura tramite i giorni e le notti in mare… e tutte le sfide che ha
dovuto affrontare tra il sole cocente, l’uccisione di innumerevoli esseri
marini… e gli ancor più innumerevoli addii; siano essi alla moglie defunta,
alla “fortuna” o ai tanti luoghi attraversati su un’imbarcazione. La storia è
ambientata a Cuba, nelle acque del Golfo e sotto le luci delle stelle e dell’Avana.
Sono ottantaquattro giorni che Santiago
non pesca nulla. La descrizione del suo aspetto fisico sembra sottolineare
quella vecchiaia non solo anagrafica che lo affligge. Santiago ha la parte
posteriore del collo solcata da rughe profonde, il viso è segnato dai tumori
della pelle e dalla vita in barca fatta di sole cocente, di freddo vento
notturno e di fatica inimmaginabile, per noi. Il vecchio è un solitario e vive
in una capanna umile e spoglia, senza nulla di confortevole. A prendersi cura
di lui solo un ragazzo di nome Manolin.
Manolin ha iniziato ad andare in
mare da bimbo, e proprio con Santiago. Da qualche tempo, però, Manolin è andato
a pescare su un’altra barca per volontà dei genitori… perché il vecchio è, oramai,
salao: è sotto i colpi della più terribile sfortuna. Il ragazzo ha dovuto
seguire gli ordini del padre, e va a prendere pesci su una barca che non è
quella di Santiago con la vela consunta e rattoppata con dei vecchi sacchi di
farina. Manolin, però, non abbandona il vecchio e si prende cura di lui come
farebbe il figlio più amorevole. Il ragazzo fa finta di credere alle stringate
frasi di rassicurazione di Santiago… che si alternano a bugie buone e alle
informazioni su pasti mai consumati. Manolin, grazie alla solidarietà di quel
posto di pescatori, riesce sempre a procurare del cibo caldo al vecchio. I due
mangiano insieme e parlano del Baseball. La realtà umile e “fuori dal tempo” di
quel porto cubano entra in contrasto con il sogno americano che ha il volto del
grande Di Maggio, il giocatore di Baseball che Santiago ammira tanto… anche perché
il padre del grande Di Maggio era pescatore, e forse quell’idolo mondiale
potrebbe capire… forse.
Santiago ogni mattina va a
svegliare il ragazzo e i due fanno parte l’uno della quotidianità dell’altro. Il
vecchio è solo, ma non troppo: ha Manolin, e ha il mare. L’acqua è la vera casa
di Santiago, e lì entra in contatto con i suoi fratelli che sono i pesci, anzi
tutte le creature dell’acqua e del cielo.
Un giorno, il vecchio parte con
la convinzione che quella giornata di pesca sarebbe stata diversa. Manolin lo
accompagna all’imbarcazione, gli procura la colazione e insiste per aiutarlo con
i pesci che serviranno da esca. Santiago parte… e va molto al largo. La
decisione di spingersi verso un certo punto, così lontano, sarà ciò che porterà
vittoria e rovina.
Oramai tutti sappiamo che Santiago
avrà a che fare con un Marlin, un pesce enorme. Non tutti, ma la maggior parte
di voi, probabilmente, saprà se Santiago prenderà il pesce o no. La pesca di
quell’enorme e “nobile” creatura si estende per giorni, ma occupa la prima
parte del romanzo e potremmo venir disorientati pensando che la questione si
potrebbe considerare risolta. La fortuna, però, ha il suo bel da fare… anche se
uno è “a posto”: Santiago crede di essere perfettamente pronto a tutto, perché è
convinto che la fortuna può arrivare in ogni momento, anche se non si sa
quando, e un uomo devi farsi trovare “a posto”. Santiago si renderà presto
conto delle cose che non aveva considerato prima della partenza: molte cose non
sono affatto pronte, tante eventualità vengono dimenticate… perché ottantaquattro
giorni di inattività annebbiano la mente più della fatica.
Ciò che colpisce durante la
lettura è che sembra di leggere una cronaca. Tutto viene riportato in maniera pulita
e oggettiva. Gli eventi sono raccontati tra i pensieri della gente di quel
luogo che vive grazie al mare, riferiti senza alcun commento e fortificati dall’uso
di termini nella lingua madre di Santiago. Lo stile è maschile e vigoroso: non
si perde in chiacchiere e in metafore pindariche… anche se tutto è in realtà
allegorico. Mentre il mare ci culla tra la corrente e i pesci che tirano le
lenze, possiamo godere della dolcezza dello sguardo che Santiago riserva a
tutte le creature. I poli della compassione e della necessità si mettono su un
tavolaccio umido e consunto dal sale e giocano a braccio di ferro. Anche Santiago
era stato, un tempo, un campione di braccio di ferro… Santiago, tanti anni
prima, era stato EL CAMPEON.
Il vecchio è un pescatore e la
gente tra le capanne si nutre grazie ai pescatori. Chi non è pescatore si nutre
comunque del lavoro di mani callose e braccia corrose dal sole. Pescare e
uccidere è una necessità imprescindibile. Anche gli animali uccidono: ognuno ha
il suo ruolo e lo persegue senza remore. Santiago fa ciò che deve fare ma non
manca di addolorarsi della sorte degli uccelli più indifesi del cielo, e di
provare pena nel ricordare quando, con Manolin, catturò un grande Marlin femmina
mentre il maschio non la lasciò per tutto il tempo… alla fine i due pescatori
si affrettarono a uccidere il grande pesce a bastonate, per compassione, senza
esitare. A volte l’esitazione è un prolungamento della pena. Al lettore tutto
potrebbe apparire estremamente crudele, a partire dal racconto di come i pescatori
amano accanirsi sulle tartarughe solo perché il cuore di quella specie continua
a battere per lungo tempo dopo la morte. Santiago, però, è diverso: pensa alle
tartarughe constatando quanto quei cuori e persino quelle zampe siano quelle di
una creatura affine. Per Santiago i pesci che uccide e gli uccelli che vede
assassinati da uccelli più grandi sono FRATELLI. Anche il grande Marlin che abbocca
al suo amo così “a posto” è suo fratello. Il lirismo di questo romanzo si mostra
tra i pensieri e il parlar da solo di Santiago. Si sa che i pescatori non amano
parlare; ma da quando il ragazzo ha abbandonato il vecchio quest’ultimo ha iniziato
a parlar da solo a voce alta. Santiago si rivolge a ogni creatura, da quelle bellissime
e fragili che gli nuotano o volano intorno, fino a quelle che uccide e di cui
si ciba non per gola ma per rendersi forte. La transustanziazione del
mare, attraverso la materialità di prede svariate, e soprattutto di una che
Santiago si pente di aver acciuffato dopo essersi rotto la schiena e le mani.
Il vecchio si ciba dei fratelli che vivono nel mare, e quei pasti ci appaiono
qualcosa di più di una semplice sussistenza, anche se così ci vengono raccontati.
Santiago non manca di dialogare con se stesso,
con Dio, o forse con l’idea che si ha di Dio… e con la sua mano sinistra. Tutto
il corpo del vecchio si piegherà alla più grande battuta di pesca della sua vita.
La mano sinistra è afflitta da continui crampi, la sola cura che conosce Santiago
è fatta di dialoghi alla stessa mano, di acqua di mare e del calore del sole.
Non possiamo non tifare per il vecchio,
ma da un lato tifiamo anche per il suo avversario… e anche Santiago fa il suo
dovere addolorandosi di quello che c’è da fare. In lui c’è sensibilità, c’è cuore;
lui è però un pescatore e i pescatori sono nati per prendere pesci, come Di
Maggio è nato per il Baseball e il padre di Di Maggio era nato per essere anch’egli
un pescatore, come il vecchio.
In questo romanzo uno dei tanti
protagonisti è l’onore, anche se Santiago riflette più volte sul fatto che l’uomo
è più forte perché inganna.
Per tutto il romanzo abbiamo a
che fare, praticamente, con un solo uomo… così sembra: ci sono anche la
Fortuna, l’onore, le necessità; i pesci volanti, i delfini e i dentusi;
i sogni di Santiago che vede i leoni che una volta scorse su una spiaggia, in
Africa. Ci sono anche tutti gli elementi naturali: il vento, la luna e le stelle.
Santiago si rallegra che l’uomo non debba uccidere le stelle; quell’uomo che può
morire ma non essere battuto. Santiago sarà un vincitore o un perdente? Ho
paura che la risposta non ci sia o che ognuno di voi ne possa avere una,
diversa da quella degli altri fratelli lettori.
L’osservatore che sembra non
smettere mai di fissare silenziosamente la vicenda è l’oceano.
Santiago si rivolge alle acque marine
chiamandole al femminile, apostrofandole con l’espressione la mar. Tutti
quelli che amano il mare gli parlano come a una donna… anche perché il mare va
dietro alla luna, come le femmine dell’uomo. I giovani pescatori usano l’espressione
el mar, al maschile, come rivolgendosi a un avversario da battere a
pugni.
Santiago combatterà duramente con
diversi avversari, in quei tre giorni solitari al largo. Il suo sfidante
principale è un fratello, è messo al maschile ma la lotta non è fatta solo di
violenza e sofferenza ma anche di amore, un amore che non è romantico e non è
poetico. Pensando alle lunghe giornate di guerra vissute da Hemingway non si
può cogliere l’evocazione di valori militari e di drammi e necessità che solo
la guerra può portare. Nel combattimento ci sono ruoli e cose da fare, simile
contro simile: c’è chi è spietato e sadico e chi fa il dovere che è
chiamato a compiere sapendo anche piangere per il fratello nemico.
In questo breve romanzo, fatto di
oggettività e pochi fronzoli, dobbiamo stare attenti a guardare sotto la
superficie dell’acqua; o possiamo pregare che ciò che si nasconde sotto il velo
possa saltare fuori e farsi vedere, finalmente. Quest’ultima riflessione la
capirete leggendo il romanzo.
Siate pronti a soffrire e sentire
la fame e la sete. Cercate di non farvi distrarre dalla stanchezza perché la
fortuna non smette mai il suo gioco. Possiamo però sperare che ciò che salva l’uomo,
anche se l’uomo uccide, è la solidarietà che può giocarsela molto bene con gli
inganni della fortuna… che credo sappia barare molto meglio degli uomini.
LA VERSIONE GRAFICA DELLA NICOLA
PESCE EDIZIONI
Questo fumetto è stato per me un
colpo di coraggio. Non sapevo se sarei riuscita a formulare un’opinione dato
che non sono un’esperta del genere e amo molto il romanzo Il vecchio e il
mare.
Iniziamo dal fatto che la lettura
della breve introduzione mi ha rassicurata e mi sono sentita “sorella” di
questo progetto editoriale. Lo sceneggiatore Andrea Laprovitera parla della
nascita dell’idea, partendo subito da un concetto che può riassumere il romanzo
e anche lo stesso Hemingway, se si mette da parte il tragico suicidio e le sue
sfumate motivazioni. Laprovitera parte analizzando cos’è la RESILIENZA:
“Resilienza:
capacità di un sistema di adattarsi al cambiamento. In psicologia si intende la
capacità di far fronte in maniera positiva a eventi traumatici, di riorganizzare
positivamente la propria vita dinanzi alle difficoltà, di restare sensibile a
quello che il mondo o la vita può (ancora) offrire.
Chissà
se Hemingway voleva parlare di questo (o anche di questo) quando nel
1952 ha scritto Il vecchio e il mare.”
Il concetto di “resilienza” è
sicuramente divenuto famoso specialmente negli ultimi anni, tra tatuaggi e aforismi
infestanti. Chissà se dieci anni fa si pensava alla “resilienza” quando si leggeva
questo romanzo. Io, sinceramente, non ci ho pensato.
Continuando a godermi l’introduzione
ho avuto l’impressione di parlare con un amico; anche perché la sera prima
avevo detto delle cose molto simili parlando, in casa, del romanzo appena
riletto.
Lettori, lo dice Laprovitera, e
io lo confermo: IL VECCHIO E IL MARE, una volta letto, si rileggerà più volte…
e in diversi momenti della vita.
Concordo anche sull’efficacia del
lavoro del disegnatore, Ludovico Lo Cascio, evidenziata dallo sceneggiatore. Io
non sono un’esperta ma sono una lettrice… e a me le “nicchie” non piacciono, perché
i prodotti di nicchia spesso sono tali per l’atteggiamento snob non di chi ama determinati
prodotti ma di chi non tenta nemmeno di approcciarsi a qualcosa di “diverso”
dall’edizione canonica e confortante, da leggere composti sulla propria poltrona.
Questo fumetto è come Hemingway: non si perde in orpelli e ci mette davanti la realtà nuda e cruda, non mancando di mostrare simboli che spiazzano (ma non voglio svelarvi troppo).
L’editoria dovrebbe essere una
custode della letteratura; reinterpretare un grande classico è un modo per fare
quello che si deve fare… ma senza dimenticare l’emozione, la commozione, e una
giusta attrezzatura. Alla fine, questo è lo “Stile Santiago”.
Consiglio di leggere
integralmente il romanzo e di provare, in seguito, con questa versione grafica.
Avrei voluto che si inserisse la parte sulla dicotomia tra el mar e la
mar; beh, però ho potuto vedere con occhi fisici e non solo mentali una
delle battute di pesca più leggendarie della storia della letteratura, e forse
della storia dell’uomo… di che mi voglio lamentare!
[1]
Espressione resa famosa dallo stesso Hemingway che la utilizza per indicare gli
scrittori che hanno raggiunto la maggiore età durane la Prima Guerra Mondiale.