SALVATORE QUASIMODO
POESIE
Ph. Francesca Lucidi
L'edizione in foto è del 1992 e fa parte della collana "Tascabili Newton". Molti di noi forse possiedono un volume di quella collana: le famose bancarelle, piene di tesori, spesso rivelano questi piccoli oggetti malandati ma pieni di storia e carattere. Personalmente adoro queste edizioni: hanno spesso delle introduzioni ben fatte, il formato è maneggevole pur non procurando una grave miopia a causa dei caratteri.
«Quasimodo ha certo dato assai di più di ciò che le
nostre voci non sono riuscite a riconoscere.»
Carlo Bo
Salvatore Quasimodo ha dato voce
alla solitudine in modo, in un primo momento, intimo… sempre circondando le
parole di uno spazio di silenzi e immagini. La natura e l’uomo inquieto si
fondono e compenetrano. La poesia pian piano diviene però per l’autore lo
strumento non solo atto e abile a fotografare la misera condizione dell’uomo,
così immobile nell’illusione di essere al centro del mondo… e poi confuso da
illusori sprazzi di luce che non gli impediscono di giungere alla morte, alla
fine (come nella poesia Ed è subito
sera)… diventa anche strumento di rinnovamento.
La Seconda Guerra Mondiale,
infatti, segna la poetica del Quasimodo, che lascia la PROPRIA solitudine per
entrare in una condivisione del dolore che diviene universale. La poesia si fa
etica… si fa strumento per la critica e il rinnovamento sociale. La poesia,
però, non è separata dalla vita. I versi di Quasimodo, seppur nelle nebbie e le
gelide nevi che circondano l’uomo, mostrano forse una via: LA PIETÀ UMANA. Il
CUORE diventa il tramite attraverso il quale qualcosa può sopravvivere (come
nella poesia Forse il cuore).
Ph. Francesca Lucidi
Propongo uno sguardo verso la
visione sociale espressa nella raccolta Giorno
dopo Giorno: assolutamente attuale e compresibile… e apro una flessione su
come la raccolta stessa sembra scorgerci, ossia da come può vederci e
comprenderci.
Ad oggi, in questo Aprile 2020,
così lascio questo canto e questa pietà urlata nella desolazione:
Neve
Scende
la sera: ancora ci lasciate
o immagini care della terra, alberi,
animali, povera gente chiusa
dentro i mantelli dei soldati, madri
dal ventre inaridito dalle lacrime.
E la neve ci illumina dai prati
o immagini care della terra, alberi,
animali, povera gente chiusa
dentro i mantelli dei soldati, madri
dal ventre inaridito dalle lacrime.
E la neve ci illumina dai prati
come luna. Oh, questi morti. Battete
sulla fronte, battete fino al cuore.
Che urli almeno qualcuno nel silenzio,
in questo cerchio bianco di sepolti.
L’INFANZIA, LA SICILIA E I PRIMI STUDI
Salvatore Quasimodo è il poeta di una quotidianità
tormentata: il
quotidiano viene espresso in un tempo dell’interiorità, e non è più contornato con l’ironia pascoliana.
Quasimodo nasce in Sicilia, il 20 Agosto del 1901 a Modica; nella sua infanzia
attraversa sia la tragedia della Grande Guerra, che non combatté essendo nato
nel 1901, sia il terremoto di Messina del 1908. Il padre Gaetano, capostazione,
nel 1909 è incaricato della
riorganizzazione del traffico ferroviario della stazione di Messina a seguito
del terremoto e di un successivo maremoto; in quel periodo la famiglia vive
addirittura in un carro merci, situato su un binario morto della stazione. Salvatore
Quasimodo consegue, nel 1919, un diploma d’indirizzo tecnico proprio a Messina.
Durante il suo periodo messinese fondò nel 1917 il Nuovo Giornale Letterario,
insieme al giurista Salvatore Pugliatti e al futuro sindaco di Firenze Giorgio La Pira.
Sul mensile pubblica le sue prime poesie; in realtà l’unico rivenditore
della rivista resta lo zio tabaccaio di La Pira.
L’ABBANDONO
DELL’ISOLA E IL “VIAGGIO” VERSO LA PRIMA RACCOLTA POETICA
La sua Sicilia resta il motore primigenio della sua
poetica e anche il paesaggio che fa da sfondo e nutrimento alla sua espressione,
che parte dalla constatazione di una solitudine silenziosa e profondamente
intima, la quale attanaglia il poeta dal momento in cui deve lasciare la terra
natia per motivi di studio e lavoro. Il poeta durante la sua vita attraversa l’Italia:
frequenta Roma (vi si trasferisce nel 1919), pensando di terminare gli studi di
ingegneria… ma si barcamena tra diverse
posizioni lavorative; il soggiorno fu però determinante perché in quel periodo
inizia a studiare il greco e il latino sotto la guida di Monsignor Mariano
Rampolla del Tindaro, pronipote
omonimo del più famoso cardinale Rampolla del Tindaro, Segretario di Stato di Papa
Leone XII. A Roma collabora anche
con diversi periodici. Le sue sofferenze economiche si dissipano quando è assunto
dal Ministero dei lavori pubblici che lo assegna, come geometra, al Genio
Civile di Reggio Calabria nel 1926. Nello stesso anno sposa, dopo una
convivenza, Bice Donetti, più anziana di otto anni. Che muore nel 1946. A due
anni dalla morte della moglie Quasimodo si risposa con la ballerina Maria
Cumani. Da questo matrimonio nasce il figlio Alessandro Quasimodo, a sua volta
poeta, attore e regista.
Dal momento che ha
acquisito una posizione economica più solida, Quasimodo si immerge sempre di
più nell’attività letteraria. Avviene così una svolta per la sua carriera e il
suo sviluppo stilistico: viene invitato a Firenze dallo scrittore Elio
Vittorini, che nel 1927 aveva sposato la sorella di Quasimodo Rosa. Vittorini
lo introduce nella vita letteraria di Firenze e in questo frangente il poeta
conosce, tra gli altri, Eugenio Montale e Alessandro Bonsanti. Alessandro
Bonsanti in quel periodo dirigeva la rivista Solaria, proprio tra quelle pagine vengono pubblicate tre poesie di
Quasimodo, che in quel periodo affina così il suo stile ermetico. Nel 1930 il
poeta pubblica la sua prima raccolta: Acque
e terre, proprio per le Edizioni Solaria.
IL “RITORNO
ALL’ORDINE”
Ricordiamo che dopo
la Prima Guerra Mondiale viene abbandonato lo slancio energico delle
Avanguardie per quello che viene chiamato il “Ritorno all’ordine”: il ritmo
poetico viene ricostruito, così come anche il verso. A differenza delle
Avanguardie che costituivano una rottura con la tradizione, quest’ultima viene
richiamata e si torna a versi come l’endecasillabo. In italia questo gusto di
ritorno agli echi di Petrarca o Leopardi, è più forte: teorizzato sulla rivista
La Ronda da Cardarelli, tra le
riviste che lo promuovono c’è anche, appunto, Solaria.
L’ERMETISMO E LA
RACCOLTA ACQUE E TERRE
L’ermetismo è la
più grande corrente tra le due Guerre. Questa nuova tendenza si esprime con il
culto della parola, che viene caricata di significato e isolata all’interno del
verso. Non si ha più il fiume espressivo dannunziano, anche se alcuni echi di
D’Annunzio possono ritrovarsi nella celebrazione della natura che Quasimodo racconta
nella sua raccolta Acque e Terre. Nelle
poesie di quello che viene chiamato “Il primo Quasimodo ermetico” si sentono
gli echi del panismo dannunziano attraverso la presenza della natura dell’isola
natia del poeta: come già detto, però, gli ermetici esprimono concetti importanti
con pochissime parole, a differenza di quanto proposto dallo stile dannunziano.
In Acque e Terre la Sicilia è presa
come l’emblema di una malinconia che evoca una felicità perduta, e questa
rievocazione del passato non fa che esaltare un’angoscia esistenziale che si
evolverà verso livelli più “universali”. Questo sentimento di angoscia e
ricordi circonda anche la seconda raccolta poetica di Quasimodo: Oboe Sommerso.
OBOE SOMMERSO
Quasimodo continua
a girare l’Italia per motivi di lavoro: viene impiegato, nel 1931, presso il
Genio Civile di Imperia; in seguito viene mandato a Genova.
A Genova conosce
Camillo Sbarbato e tutti gli intellettuali intorno alla rivista Circoli. Per le edizioni della stessa
rivista, Quasimodo pubblica la sua seconda raccolta: Oboe Sommerso, che raccoglie le poesie scritte tra il 1931 e il
1932. Tra questi versi si ritrova un Quasimodo che è ormai alla maturità stilistica,
e che aderisce completamente ai modi ermetici. Ancora la Sicilia e una ricerca
della pace interiore che si affida, qui, al divino (come nelle poesie DAMMI IL MIO GIORNO; L’ANGELO; AMEN
PER LA DOMENICA IN ALBIS). Questo raccoglimento spirituale
viene però rivolto anche alla Natura… sempre presente come personificazione dei
moti dell’animo del poeta (ricordiamo le poesia PREGHIERA ALLA PIOGGIA).
VERSO MILANO: DALL’INTIMISMO AL CONFRONTO CON LA
VITA IN “ED È SUBITO SERA” E “GIORNO DOPO GIORNO”
Quasimodo continua a viaggiare per lavoro, passa da
Cagliari per poi trasferirsi a Milano, dove viene destinato alla sede del Genio
Civile di Sondrio.
Nel 1938 lascia il Genio Civile per dedicarsi alla
letteratura. Inizia a lavorare in ambito editoriale per Cesare Zavattini.
Collabora alla rivista Letteratura, vicina
all’ermetismo.
In questo periodo inizia anche la traduzione dei
lirici greci.
Nel 1941 è nominato professore di Letteratura
Italiana presso il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano (vi insegnerà fino
al 1968). Durante la Seconda Guerra Mondiale, nel 1942, entra nella collana Lo specchio della Arnoldo Mondadori con
la raccolta Ed è subito sera, in cui
sono racchiuse anche le Nuove Poesie (scritte
tra il 1939 e il 1942). Qui il ritmo poetico si fa più disteso: vi troviamo
endecasillabi e versi lunghissimi. Quasimodo esce dalla propria solitudine
individuale per abbracciare una visione universale della stessa. Il poeta si
confronta con la vita, si sposta dal paesaggio siciliano e apre uno spazio su
quello lombardo, che lo aveva accolto in quegl’anni. La poesia diventa pian
piano una riflessione sulla condizione dolorosa dell’essere umano. Emblematici
i versi della poesia Ed è subito sera:
Ognuno
sta solo
sul cuore della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Questi versi in realtà sono la terzina finale di una
poesia della raccolta Acque e Terre: Solitudini, di diciannove versi più
lunga; questo dimostra anche l’evoluzione in senso ermetico di Quasimodo.
Questi versi sono adesso ciò che fa da overture
alla raccolta, appunto, Ed è subito sera.
La solitudine del poeta diviene, qui, la solitudine
generale dell’essere umano. Questo isolamento è dettato dall’incomunicabilità e
dalla difficoltà dei rapporti interpersonali.
L’uomo è da solo mentre sta nella sua condizione
illusoria che lo fa credere il centro del mondo. Ricerca il senso del mondo, il
superamento della morte… e nel frattempo viene dolorosamente raggiunto da
dolorosi sprazzi di luce illusoria che poi lo accompagnano fino alla fine, alla
sera: alla morte.
I versi sono evocativi, isolati da spazi bianchi che
esaltano la gravità delle immagini suggerite dal poeta. Le frasi sono
coordinate tra loro in un silenzioso ma tumultuoso viaggio verso la
constatazione della limitatezza dell’uomo. La luce benefica ma dolorosa non
basta.
A differenza del dolore, poi dispiegato tra i versi
di Montale, Quasimodo propone una poesia che ha un ruolo, che può fare
qualcosa. Da specchio e comprensione della condizione dell’essere umano diventa
poi espressione della coscienza popolare, e missione per un rinnovamento.
Quasimodo sceglie così di denunciare i mali del
tempo.
La poesia, ora più comprensibile rispetto al “Primo
Quasimodo”, passa alla fase del “Secondo Quasimodo” con la pubblicazione della
raccolta Giorno dopo Giorno nel 1947.
L’impegno morale e civile dell’autore diviene così
sempre più profondo, e richiama a una speranza possibile, nonostante le
tragedie lasciate dalla Seconda Guerra Mondiale… la PIETÀ UMANA è l’unico
riscatto possibile:
Sprofonderà l'odore
acre dei tigli
nella notte di pioggia. Sarà vano
il tempo della gioia, la sua furia,
...quel suo morso di fulmine che schianta.
Rimane appena aperta l'indolenza,
il ricordo d'un gesto, d'una sillaba,
ma come d'un volo lento d'uccelli
fra vapori di nebbia. E ancora attendi,
non so che cosa, mia sperduta: forse
un'ora che decida, che richiami
il principio o la fine: uguale sorte,
ormai. Qui nero il fumo degli incendi
secca ancora la gola. Se lo puoi,
dimentica quel sapore di zolfo
e la paura. Le parole ci stancano,
risalgono da un'acqua lapidata;
forse il cuore ci resta, forse il cuore...
La poesia etica di Quasimodo si connota, sempre più
maggiormente, di toni civili: diviene “epica”. Ciò è mantenuto e fortificato
nelle raccolte successive, scritte dal 1949 al 1958, come La vita non è sogno, Il falso e il vero verde e La terra impareggiabile.
IL PREMIO NOBEL
Dopo diversi riconoscimenti, nel 1959 Quasimodo ottiene il premio Nobel per la letteratura «per la sua poetica lirica, che con ardente
classicità esprime le tragiche esperienze della vita dei nostri tempi».
L’assegnazione del Nobel al poeta non è stata scevra di polemiche, ma a questo
proposito è bene ricordare le parole di Carlo Bo: «Quasimodo ha certo dato
assai di più di ciò che le nostre voci non sono riuscite a riconoscere.»
Dopo aver ricevuto il Nobel, il poeta fa ritorno a Roccalumera, ultimo piccolo luogo della Sicilia
ad aver accolto la famiglia Quasimodo, e consegna il premio al padre
novantenne.
Salvatore Quasimodo continua i suoi viaggi in Italia e
in Europa. Ottiene la laurea honoris causa
dall’Università di Messina nel 1960 e, nel 1967, la laurea honoris causa dall’Università di
Oxford.
Nel 1966
pubblica la sua ultima opera: Dare e
Avere.
LA MORTE E
LA SEPOLTURA
Nel giugno
del 1968, mentre si trova per un premio letterario ad Amalfi, il poeta viene
colpito da un ictus. Muore durante la corsa verso l’ospedale di Napoli.
Il corpo di
Quasimodo viene tumulato nel Famedio
del Cimitero Monumentale di Milano, dove riposano anche le spoglie del grande
Alessandro Manzoni.
INFORMAZIONI
DI CONTORNO, MA NON TROPPO
Salvatore
Quasimodo è stato anche un importante traduttore, occupandosi dei lirici greci,
ma non solo: si dedica anche alle opere di Molière e Shakespeare. Di
quest’ultimo molti lettori appassionati hanno in casa un volume tradotto dal
poeta siciliano.
Quasimodo
riesce a far parte anche della Massoneria. Nel 1922 viene iniziato presso la
Loggia “Arnaldo da Brescia” di Licata.