EUGENIO MONTALE: POETA, PITTORE
E
UOMO
Ph. Francesca Lucidi
In foto un'edizione facente parte di una vecchia raccolta della Mondadori (1996), ho anche altri volumi che erano e sono perfetti da portare sull'anima quando si è in cammino.
BREVI
STRALCI SU EUGENIO MONTALE
Eugenio Montale nasce a
Genova nel 1896 da una famiglia borghese. Il suo genio viene cesellato da
ricchi studi da autodidatta presso la Biblioteca di Genova. Nel 1917 deve
arruolarsi per combattere nella Prima Guerra Mondiale, a differenza di altri
contemporanei, però, non scrive poesie di guerra.
Nel 1925 pubblica la
raccolta Ossi di Seppia, che non ebbe
particolare successo nella sua prima edizione (2° edizione nel 1931).
Nello stesso anno firma
il Manifesto degli intellettuali
antifascisti, noto anche come Antimanifesto,
redatto da Benedetto Croce il 1° Maggio sui quotidiani Il Mondo e Il Popolo.
Benedetto Croce decide di redigere il documento dopo un’iniziale fiducia verso
Benito Mussolini, verso il quale nutriva una speranza di distacco dagli
estremismi nazional-fascisti… la suddetta speranza matura però presto nella
consapevolezza della reale natura della politica fascista. Il manifesto
rappresenta così una risposta al Manifesto
degli intellettuali fascisti di Giovanni Gentile.
Nel 1927 è a Firenze e
lavora per un editore. Nella citta toscana ha l’occasione di conoscere, tra gli
altri, Salvatore Quasimodo e Carlo Emilio Gadda. Nel 1929 guadagna una nomina
assai importante: diventa direttore del Gabinetto Vieusseux (fino al 1938).
L’Istituzione culturale fiorentina, caratterizzato anche dai servizi specifici
di una biblioteca come le attività di prestito, è anche un vivace e storico
crocevia culturale.
Proprio a Firenze il
poeta conosce Drusilla Tanzi, una donna sposata, che diventa prima la sua
compagnia e poi sua moglie (solo nel 1962, dopo la morte del primo marito di
Drusilla occorsa nel 1958). Montale nelle sue poesie apostrofa la donna come
“Mosca”. Montale ha anche altre relazioni durante la sua vita: è importante
ricordare, tra le altre, il rapporto sentimentale con Irma Brandeis,
un’accademica e critica letteraria statunitense di origine ebraica. La donna
rimane in Italia fino al 1938, anno in cui è costretta a tornare in America per
sfuggire alle leggi razziali. Nello stesso anno Montale viene licenziato dal
Gabinetto Vieusseux perché antifascista; inizia così a guadagnarsi da vivere
con le attività di insegnante privato e traduttore.
Nel 1939 pubblica la
raccolta Le Occasioni, un mese dopo
lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Tra l’inquietudine personale e le
incertezze economiche, il poeta legge i classici americani, le opere di Svevo
(con il quale intraprende anche una corrispondenza epistolare), e… Dante.
Nonostante le sofferenze causate dal suo rifiuto del fascismo, Montale non
passa all’azione: non combatte direttamente nella resistenza, vive un
antifascismo fatto di allontanamento e di pessimismo.
Nel 1956 pubblica Bufere ed altro: da lì il suo linguaggio
vira sempre più verso una colloquialità che diventa prosaica e familiare da Xenia (1966), a Satura (1971), fino a Diario (1971).
Il poeta si distacca
sempre di più dalla vita, e citandolo prestiamo ascolto:
“Pensai
presto, e ancora penso, che l’arte sia la forma di vita di chi veramente non
vive: un compenso o un surrogato.”
Nonostante il suo
vivere trasognato riesce a guadagnare diversi riconoscimenti pubblici: tra gli
altri ricordiamo le laure honoris causa presso
le università di Milano e Cambridge, rispettivamente nel 1961 e nel 1967; e
all’Università La Sapienza di Roma nel 1974.
Nel 1967 ottiene la
nomina di Senatore a vita.
Durante il 1975, la sua
visione di una vita priva di apparenti risposte e “presente” nel “male di
vivere”, quanto assente dalle condizioni di un presente che si immerge in quel
male non per “occasioni” storiche quanto per qualità endemiche, lo guida fino al
riconoscimento più importante: il Premio
Nobel per la letteratura… ottenuto per aver “interpretato i valori umani sotto
il simbolo di una visione della vita priva di illusioni”.
Nel 1981 muore a Milano
a 85 anni.
LA
POETICA
Eugenio Montale è uno
di quegli autori che non possono essere inseriti in una corrente letteraria
senza subire forzature. Sicuramente la sua attività fa parte di quella schiera
di artisti che si distaccano dalla verve
avanguardista. Le Avanguardie si caratterizzano per una rottura totale con la
tradizione e con un accento “interventista” che perde il suo fascino nel
confronto con la dura realtà portata dal reale coinvolgimento bellico.
Riguardo allo stile
Montale riabbraccia la tradizione nel panorama di quel generale “ritorno all’ordine”
già qui citato in altri interventi. Gli stilemi del passato vengono rivalutati
in una visione nuova, ma non di rottura. Ritroviamo l’uso dell’endecasillabo
(caro alle solide basi poetiche italiane che guardano a Petrarca e al più
vicino Leopardi), rinnovato alla luce di contenuti proposti da Italo Svevo e
Luigi Pirandello: uno svelamento della condizione dell’uomo.
La poesia si mostra
come il frutto del dolore, inteso come una ferita non scaturita dalle vicende
contemporanee ma come una condizione senza tempo che è cosmica e costituzionale
per l’umanità. Il sentimento doloroso di Montale si può avvicinare a quello
leopardiano, si differenzia però per la ricerca di un “varco”: di un senso
nascosto, un’illuminazione improvvisa che cerca di mostrare ciò che vi è oltre
il muro, oltre quella metafora tanto usata dal poeta. In realtà questa
illuminazione resta inefficace e lo sconforto avvolge l’uomo e la sua vita.
La tecnica primaria
attraverso cui Montale esprime la condizione dolorosa del vissuto è il Correlativo Oggettivo: una tecnica letteraria
che nomina gli oggetti, i quali non sono simboli ma richiami. Gli oggetti sono
il mezzo per nominare i concetti: per mostrarli e porli davanti come la
fisicità stessa dei sentimenti e del vissuto.
Con Ossi di Seppia il paesaggio ligure
fornisce il materiale attraverso cui sfruttare i meccanismi del correlativo
oggettivo. La natura non è uno scenario ridente e consolatorio ma un ambiente
secco per una poesia di “scarti”. Il linguaggio si fa anch’esso secco ed
essenziale, vicino alle scelte ermetiche. La natura si mostra indifferente all’uomo
e non si preoccupa del dolore che prende la forma dell’osso della seppia: di
uno scarto del mare.
Il mare a volte riesce
a costituire una pausa e un sollievo… nella sua contemplazione dilatata. Anche
l’amore costituisce una sospensione dal dolore, un’ancora di salvezza. Le donne
del poeta costellano tutta la sua poetica, partendo dal sentimentalismo fino al
sogno… quest’ultimo espresso nell’amore perso nell’attesa della lontana Clizia.
Montale non disdegna la
ripresa di forme preziose: oltre alla metrica tradizionale si può riscontrare
uno sguardo al D’Annunzio naturalistico, da interpretare però nel generale
distacco dalle pretese eroiche avanguardistiche di quelli che chiama “poeti
laureati”. Montale si avvicina alla quotidianità e alle piccolezze, alla
concretezza delle cose, alla materialità degli oggetti.
L’alta e ardita poesia
avanguardista viene affrontata alla maniera di Montale nella lirica Non chiederci la parola:
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
Perduto in mezzo a un polveroso prato.
Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!
Non domandarci la formula che mondi possa aprirti
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.
Il componimento apre Ossi di Seppia non a caso: si rivolge
direttamente allo stile e alla terminologia aulica di D’Annunzio per superarla
attraverso il semplice linguaggio della raccolta e i suoi temi.
Il poeta non è più un
“vate”: non ha risposte da proporre all’umanità che nella contemporaneità vede
l’intellettuale, non strumentalizzato e strumentalizzabile, sempre più
inascoltato. Le false certezze promosse dal regime vengono sostituite con
l’insicurezza di una condizione umana dolorosa che rifugge le illusorie idee
urlate dal fascismo. Il poeta non compromesso con il regime è un uomo
qualunque, smarrito come l’uomo comune. Non vi è sfoggio ma osservazione, non
vi è certezza ma precarietà espressa attraverso la correlazione con oggetti e
immagini sussurranti dolore… come il “cavallo stramazzato”.
Il male di vivere non
viene superato ma accettato… e così infatti Montale va a constatare:
Spesso il male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’ accartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stamazzato.
Bene non seppi, fuori del prodiggio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
era il rivo strozzato che gorgoglia,
era l’ accartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stamazzato.
Bene non seppi, fuori del prodiggio
che schiude la divina indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.
Nella normalità della vita si riscontra il dolore
dell’uomo; il significante anche… è duro e aspro come gli scarti che fanno da
titolo alla raccolta poetica. Il ritmo e la musicalità della prima quartina ci
fanno indugiare su forme “strozzate” e rumorose, poi tutto si calma tra le
vocali pacate della seconda quartina. Il bene che si può raggiungere è il puro
esistere senza tempo, sospeso come la poesia che non si genera dalla storicità
ma dall’universalità di una memoria dolorosa e congenita di tutta l’umanità.
Dalle strette di Ossi di Seppia i versi di Montale
si armonizzano con una quotidianità che si allontana dal paesaggio ligure per
arrivare alle esperienze d’Amore e all’ironia rivolta alla società.
La raccolta Le Occasioni ha i profumi di Firenze e
di Clizia; Bufere ed altro racconta una donna angelo… sempre collegata al
rapporto con Clizia, che regala una salvezza non religiosa… ma umana,
esperenziale.
Satura, nome derivato dalle raccolte latine in cui
sono riscontrabili forti toni ironici… addirittura critici, si rivolge ancora
di più alla quasi ridicolizzazione della poesia “alta”.
Della sezione Xenia fa parte la poesie Ho sceso
dandoti il braccio: un omaggio alla moglie… alla sua “Mosca”. La moglie del
poeta muore pochi anni prima dell’uscita della raccolta, e riceve un grande
omaggio attraverso alcuni tra i versi più belli della poesia italiana:
Ho
sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale
e
ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche
così è stato breve il nostro lungo viaggio.
Il
mio dura tuttora, né più mi occorrono
le
coincidenze, le prenotazioni,
le
trappole, gli scorni di chi crede
che
la realtà sia quella che si vede.
Ho
sceso milioni di scale dandoti il braccio
non
già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con
te le ho scese perché sapevo che di noi due
le
sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano
le tue.
IL
MONTALE PITTORE
Non è molto nota l’attività
di Eugenio Montale come “pittore della domenica”: il poeta realizza diverse
opere e unisce la pratica pittorica a un sodalizio particolare e a una
trattazione sull’argomento caustica, in linea con l’atteggiamento verso quei “poeti
laureati” di cui abbiamo appena parlato.
Montale conosce il
pittore-poeta Filippo De Pisis nel 1920, e da lì nasce un’amicizia duratura.
De
Pisis (1896-1956) studia lettere a Bologna e si dedica all’attività poetica con
particolare riferimento alle tematiche e allo stile di Leopardi e Pascoli. Le
nature morte marine del pittore si uniscono ai paesaggi scabri narrati dai
versi di Montale: le opere pittoriche dei due sono state avvicinate anche in
mostre che hanno permesso di rendere fruibile questo particolare sodalizio
artistico.
De Pisis Natura morta aerea (1931), collezione privata
Montale non si limita a
dipingere ma parla anche dei pittori
in un intervento apparso sul breve volume in prosa La poesia non esiste (1971), nel testo Il pittore:
Il
pittore è stato informato che scopo dell’arte sua non è dipingere il vero ma le
tempeste del suo cranio, la sua visione del mondo, la sua Weltanschauung. Ora nel suo cranio non c’era proprio nulla
di simile. Nato per non pensare gli hanno fatto credere che deve invece dar
forma e colore all’Idea.
Praticamente,
l’Idea non è affatto un’idea, ma consiste nel seguire una certa formula che si
ritiene essere nuova, o moderna o «progressiva» rispetto alle altre. Chi ha
detto questo? Non il pittore. Il pittore non ha detto nulla. Egli ha però
delegato il giudizio sull’arte sua a una congrega di supposti competenti, dei
quali deve accettare l’imbeccata e il giudizio. Il pittore dipinge per delega,
dipinge il pensiero degli altri.
Come per i “poeti laureati” i pittori di
professione non riescono a raggiungere quei momenti imprevedibili dell’esperienza
in cui veniamo illuminati da una verità, solo sfiorata, che non possiamo
possedere nel tempo ma che ci fornisce un “assoluto” momentaneo che si esprime
attraverso un’immagine. Quest’ultima può essere fissata nella parola poetica o
nelle realizzazioni materiali dei pittori dilettanti, coloro i quali sono
scevri da condizionamenti di mercato, di critica… e di un’avanguardia forzata
dettata dai tempi e dalle aspettative degli sguardi dei teorici.
Montale si definisce un “pittore della domenica”
ma in realtà la sua produzione evidenzia un’ interessante qualità. Innanzitutto
il poeta si cimenta in diversi tecniche come l’acquerello, il pastello, le
incisioni o gli schizzi a biro e sanguigna. Ciò che prevale sono i soggetti
marittimi o gli elementi presenti nelle sue poesie: la natura… una foglia
secca.
La sua arte viene
avvicinata alla pittura metafisica,
una corrente nata a Ferrara nel 1917
(tra gli esponenti ricordiamo Giorgio de Chirico), che punta a rappresentare
immagini che vanno aldilà della reale percezione dei sensi. La pittura
metafisica è immobile: gli oggetti risultano simbolici e inquietanti e fermi in
un istante atemporale. Stiamo parlando di un approccio “assoluto” come quello
della poetica di Montale.
Opera di Eugenio Montale
Il poeta-pittore Montale e il pittore-poeta De
Pisis vivono reciprocamente un rapporto fatto di influenze ma anche di
punzecchiamenti vivaci… come dimostrato dall’epistolario tra i due.
Interessante è riportare alla mente che Montale nell’inviare a De Pisis Le Occasioni scrive nell’incipit un
breve componimento intitolato Alla
maniera di Filippo De Pisis:
Una botta di stocco nel zig zag
del beccaccino –
e si librano piume su uno scrìmolo
(Poi discendono là, fra sgorbiature
di rami, al freddo balsamo del fiume)
Il componimento
suggerisce una provocazione del Montale verso De Pisis, il quale imitava lo
stile poetico dell’amico prendendosene quasi gioco…
È stupefacente
lo spessore di una manifestazione artistica che nella sua assenza di
temporalità riesce a esprimere attraverso le parole e i colori… immagini che ci
obbligano a sospenderci dal giudizio e dalla necessità di risposte per la
contemplazione: di un assoluto e di un senso della vita da osservare e non
interrogare.
MI
PREME DI AGGIUNGERE…
Nel 1943 Eugenio
Montale dà asilo a diversi intellettuali salvandogli la vita dalle persecuzioni
fasciste: nasconde Umberto Saba, di origini ebraiche, ed Edoardo Sanguineti perché
comunista.
Montale
si cimenta anche nell’arte del canto: studia lirica da ragazzo, tra il 1915 e
il 1918, decide però di interrompere la carriera da cantante. Riprende successivamente il
campo musicale lavorando come critico discografico presso Il Corriere della Sera tra il 1954 e il 1967. Montale non è mai
salito sul palco in prima persona.
LA MIA SCELTA